La morte a Venezia – Thomas Mann (estratto)
7 giugno 2012 2 commenti
Il suo sonno era di poca durata; notti brevi, piene di felice agitazione, interrompevano i giorni deliziosamente monotoni. Egli si ritirava prestissimo, perché alle nove, quando Tadzio era scomparso dalla scena, la giornata gli pareva finita. Ma ai primi bagliori dell’alba lo svegliava uno sgomento dolce e penetrante, il cuore si ricordava della sua avventura; egli non resisteva più tra le coltri, si alzava, e, leggermente coperto contro la frescura mattutina, andava a sedersi presso la finestra aperta e aspettava il levar del sole. L’avvenimento meraviglioso empiva di religiosità la sua anima santificata dal sonno. Ancora il cielo, la terra e il mare erano immersi in uno spettrale vitreo biancore crepuscolare; ancora una stella morente navigava nell’irreale. Ma ecco giungeva un soffio, un alato messaggio da sedi inaccessibili annunziava che Eos, l’Aurora, sorgeva dal letto maritale; e appariva quel primo tenue rossore delle zone più lontane del mare e del cielo, col quale il creato si rivela ai sensi. S’avvicinava la dea, la rapitrice di adolescenti che involò Clito e Cefalo e che sfidando l’invidia di tutto l’Olimpo godette l’amore del bel cacciatore Orione. Ai confini del mondo incominciava la pioggia di rose, un chiarore e una fiorita di grazia ineffabile, nuvole nascenti, immateriali, luminose si libravano come amorini obbedienti fra rosei e cilestrini vapori; un velo di porpora si stendeva sul mare che sembrava portarlo ondeggiando verso la riva, dardi dorati guizzavano dal basso verso l’alto del cielo, lo splendore diveniva incendio; silenziosamente, con divina strapotenza, il fuoco, le fiamme, il rogo divampante invadevano il cielo, e i sacri corsieri di Febo, il dio fratello, con zoccoli travolgenti s’innalzavano sull’orizzonte. Illuminato dal fulgore divino il vegliante solitario chiudeva gli occhi e offriva le sue palpebre al bacio dell’astro glorioso. Sentimenti del passato, antichi deliziosi tormenti che erano morti durante la sua vita di rigida disciplina ritornavano adesso cosi stranamente mutati — egli li riconosceva con un sorriso di perplessità, di meraviglia. Pensoso, trasognato; formava lentamente un nome con le labbra e sorridendo sempre col viso levato verso il cielo, le mani giunte in grembo, si assopiva ancora una volta.