Passaggio in India – Edward Morgan Forster (estratto)

CAPITOLO 6.
Aziz non era andato al “ponte”. Subito dopo il suo incontro con la signora Moore fu preso da altre cose. Si presentarono parecchi interventi chirurgici che lo tennero occupato. Cessò di essere sia un fuori casta che un poeta, e ridiventò lo studente di medicina molto allegro, una miniera di aneddoti chirurgici che riversava nelle riluttanti orecchie degli amici. A volte si sentiva affascinato dalla propria professione, ma esigeva che fosse esaltante: aveva la mano più che la mentalità dello scienziato. Amava il bisturi e lo usava con destrezza, e gli piaceva anche iniettare i sieri più recenti. Ma la seccatura dei regimi e dell’igiene gli riusciva odiosa, e dopo aver inoculato un vaccino contro l’enterite se ne andava a bere l’acqua senza filtrarla. «Cosa volete aspettarvi da un tipo così?» diceva acidamente il maggiore Callendar. «Non c’è carattere, non c’è sostanza.» Ma in cuor suo sapeva che se l’anno prima fosse stato Aziz e non lui a operare di appendicite la signora Graysford, la vecchia signora probabilmente sarebbe stata ancora viva. E questo non lo rendeva certo più tenero verso il dipendente. La mattina dopo la moschea ebbero un battibecco –
non avevano che battibecchi. Il maggiore, che era rimasto in piedi metà della notte, voleva proprio sapere perché diavolo Aziz non fosse accorso immediatamente quando l’aveva chiamato. «Prego, signore, ma così ho fatto. Ho inforcato la bicicletta, ma davanti all’ospedale Cow mi è scoppiata una gomma. Così ho dovuto cercare una tonga.»
«Scoppiata davanti all’ospedale Cow, eh? E come avete fatto a trovarvi là?»
«Come dite?»

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