Platone – La Repubblica Cap. VIII, Atene 370 A.C.

Platone - La RepubblicaQuando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?
In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?
Ecco, secondo me, come nascono le dittature. Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia. L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo .

15 Responses to Platone – La Repubblica Cap. VIII, Atene 370 A.C.

  1. Platone spiegava concetti basilari, in massima parte ripresi da Aristotele e sviluppati ulteriormente dalla Patristica, soprattutto da San Tommaso d’Aquino: tutto ciò entrò nella Tradizione europea che plasmò gli Stati Cristiani. Nel merito, nella Civiltà Cattolica, che fece evolvere gli insegnamenti della Classicità, non si usava il termine “democrazia” nel senso di migliore forma di governo, che era invece riconosciuta nell’aristocrazia, perché orientata alla Virtù. Si era infatti osservato che portare al governo gente impreparata come la plebe, faceva degenerare lo stesso prima in demagogia, poi in tirannide. Si sapeva bene ciò che conta: il buon governo. Per ottenerlo non c’è alternativa all’educazione morale e religosa, per formare governanti proiettati con la mente in una dimensione superiore alla sfera individuale ed egoistica. Per operare secondo Verità e Giustizia, bisogna mettersi al servizio della comunità, senza lusingarne il consenso, ma prendendosi tutte le responsabilità che derivano dalle scelte di governo. Era tutta una società fondata sul sacrificio e sul senso del dovere: le due Autorità (Maestà Divina e Maestà Temporale) cooperavano per affermare i valori cristiani. Tutto ciò va in frantumi con l’illuminismo, basato sull’egoismo e l’amoralità. Con la Rivoluzione Francese si afferma un nuovo sistema politico-giuridico-culturale basato appunto su un’eguaglianza che rende uguali tutti, buoni e malvagi, perché il fine ultimo è imporre il dominio del male. Illudendo il popolo con una finta democrazia, si genera una libertà non finalizzata al Bene e si crea una casta di potere settaria ed occulta, che manovra con grande facilità una massa ormai incapace di distinguere il Bene ed opporsi al male.

  2. Alberto says:

    Ottimo articolo davvero.
    Però mi è sorto un dubbio…
    Ho cercato l’opera in questione online, per intero, l’ho trovata e l’ho letta tutta.
    E non sono riuscito a trovare queste constatazioni.
    Esistono per caso due opere di Platone dallo stesso nome? Non riesco davvero a venirne a capo.
    Qui c’è la versione integrale, libro per libro:
    http://digilander.libero.it/gotika/platone.html
    Un saluto!

    • Al contrario di te non l’ho letto e quando mi sono imbattuto in questo estratto, ho ovviamente verificato la veridicita’ del testo e della fonte.
      Quando moltissimi siti riportano pari pari lo stesse parole con la medesima origine, mi e’ sufficiente per pubblicare e del resto anche tu puoi fare altrettanto. In effetti le pagine che riporti non contengono il testo. Puo’ essere loro la mancanza?
      Vale la pena fare ulteriori ricerche.
      Grazie e a presto!

      • Alberto says:

        Ho trovato diverse pagine in cui viene detto che questa è una libera traduzione di Indro Montanelli, il famoso giornalista, del maggio 1992. Da «La stecca nel coro», Rizzoli.
        Quindi è possibile che si tratti di un’elaborazione del testo originale, al fine di avere un testo più conciso e semplice. Per quanto so di Montanelli, era un giornalista affidabile, e leggendo ci si accorge che sia il libro originale di Platone che la “libera traduzione” di Montanelli hanno il medesimo significato.

        Una breve analisi:
        «Nel senso», risposi, … un meteco si eguaglia a un
        cittadino e un cittadino a un meteco, e lo stesso vale per uno straniero».

        «In una città come questa», seguitai, «caro amico, il limite estremo della libertà a cui può giungere il volgo viene
        toccato quando gli uomini e le donne comprati non sono meno liberi dei loro compratori.»

        «Ed è quindi naturale», ripresi, «che la tirannide si formi solo dalla democrazia, ossia che dall’estrema libertà si
        sviluppi la schiavitù più grave e più feroce».

        Come vedi da queste battute, il significato è esattamente lo stesso.

        Il testo originale è un dialogo inventato e scritto da Platone, nel quale l’autore ha voluto porre come interlocutori il suo maestro, Socrate (che analizza la repubblica e in questo capitolo la democrazia e la tirannia), e altre persone. Le idee sono comunque platoniane e a detta di alcuni studiosi Socrate non sviluppò questo genere di pensiero.
        Faccio copia e incolla di una parte del libro XIII (che comprende anche le battute che ho scritto poco fa):

        «A mio parere, quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di
        libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non siano del tutto remissivi e non concedano molta
        libertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici».
        «Sì », disse, «fanno questo».
        «E ricopre d’insulti», continuai, «coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessun
        valore, contenti di essere schiavi, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e i
        sudditi che sono simili ai governanti. In una tale città non è inevitabile che la libertà tocchi il suo culmine?» «Come no?»
        «Inoltre, mio caro», aggiunsi, «l’anarchia penetra anche nelle case private e alla fine sorge persino tra gli animali».
        «In che senso possiamo dire una cosa simile?», domandò.
        «Nel senso», risposi, «che ad esempio un padre si abitua a diventare simile al figlio e a temere i propri figli, il figlio
        diventa simile al padre e pur di essere libero non ha né rispetto né timore dei genitori; un meteco (23) si eguaglia a un
        cittadino e un cittadino a un meteco, e lo stesso vale per uno straniero».
        «In effetti accade questo», disse.
        «E accadono altri piccoli inconvenienti dello stesso tipo: in una tale situazione un maestro ha paura degli allievi e li
        lusinga, gli allievi dal canto loro fanno poco conto sia dei maestri sia dei pedagoghi; insomma, i giovani si mettono alla
        pari dei più anziani e li contestano a parole e a fatti, mentre i vecchi, abbassandosi al livello dei giovani, si riempiono di
        facezie e smancerie, imitando i giovani per non sembrare spiacevoli e dispotici».
        «Precisamente», disse.
        «In una città come questa», seguitai, «caro amico, il limite estremo della libertà a cui può giungere il volgo viene
        toccato quando gli uomini e le donne comprati non sono meno liberi dei loro compratori. E per poco ci dimenticavamo di
        dire quanto sono grandi la parità giuridica e la libertà degli uomini nei confronti delle donne e delle donne nei confronti
        degli uomini!».
        «Dunque», fece lui, «con Eschilo “diremo quel ch’ora ci venne al labbro”?» (24) «è appunto ciò che sto dicendo»,
        risposi: «nessuno, a meno di non constatarlo di persona, potrebbe convincersi di quanto la condizione degli animali
        domestici sia più libera qui che altrove.
        Le cagne, secondo il proverbio, diventano esattamente come le loro padrone, i cavalli e gli asini, abituati a procedere
        con grande libertà e fierezza, urtano per la strada chiunque incontrino, se non si scansa, e parimenti ogni altra cosa si
        riempie di libertà».
        «Stai raccontando il mio sogno»,(25) disse, «perché anche a me, quando vado in campagna, spesso capita proprio
        questo».
        «Ma non capisci», domandai, «che la somma di tutti questi elementi messi insieme rammollisce l’anima dei cittadini a
        tal punto che, se si prospetta loro un minimo di sudditanza, si indignano e non lo sopportano? Tu sai che finiscono per
        non curarsi neppure delle leggi, scritte e non scritte, affinché tra loro non ci sia assolutamente alcun padrone».
        «E come se lo so!», rispose.
        «Dunque, amico mio», dissi, «questo mi sembra l’inizio bello e vigoroso da cui nasce la tirannide».
        «Davvero vigoroso!», esclamò. «Ma che cosa succede dopo?» «Lo stesso malanno», continuai, «che si manifesta
        nell’oligarchia portandola alla rovina, nasce anche nella democrazia, più forte e violento a causa della licenza, e la
        asservisce. In effetti l’eccesso produce di solito un grande mutamento in senso contrario, nelle stagioni, nelle piante, negli
        animali e non ultimo anche nelle forme di governo».
        «è naturale», disse.
        «Infatti l’eccessiva libertà non sembra mutarsi in altro che nell’eccessiva schiavitù, tanto per il singolo quanto per la
        città».
        «Sì , è naturale».
        «Ed è quindi naturale», ripresi, «che la tirannide si formi solo dalla democrazia, ossia che dall’estrema libertà si
        sviluppi la schiavitù più grave e più feroce».

        E’ un testo veramente bello.
        Un saluto!

      • La tua ricerca e’ indiscutibilmente interessante e mi risparmia un po’ di lavoro che per ragioni di tempo, devo posticipare. Se come sembra la traduzione e’ di Montanelli, traspare l’evidente fedelta’ all’idea ma anche un tentativo di modernizzare, dovrei dire attualizzare, il linguaggio per un concetto resistente (purtroppo) nel tempo. A questo punto mi sento in dovere di acquistare una copia e leggerla tutta… !

  3. In effetti, i passi riportati in testa sono una rielaborazione fatta da Indro Montanelli dei pensieri di Platone. Un altro insigne filosofo della Classicità lancia un monito sui rischi di un’immigrazione non ben regolata. In ben due passi, “La politica” di Aristotele mette in guardia dall’uso strumentale degli immigrati: «Anche la differenza di razze è elemento di ribellione finché non si sia raggiunta una piena concordia di spiriti, per questa ragione: come non si forma uno Stato da una massa qualunque di uomini, così nemmeno uno Stato può formarsi in un qualunque periodo di tempo. Per questo motivo quanti hanno accolto uomini d’altra razza, sia come compagni di colonizzazione, sia parificandoli ai cittadini, in seguito sono caduti in preda alle fazioni» (V, 1, 1303 a); «È anche proprio della tirannide avere come compagni di tavola e d’ogni occasione i forestieri al posto dei propri concittadini, poiché questi ultimi sono avversi al tiranno, mentre quelli non hanno motivo di contesa con lui. Questi e simili mezzi sono caratteristici della tirannide e ne proteggono il potere; nessuna ribalderia è ai cittadini risparmiata» (V, 11, 1314 a). Questo secondo passo è terribile, perché mostra con quanta facilità una politica che si ammanta di carità cristiana può essere funzionale a finalità di segno opposto.

    • Ottimo commento davvero.
      I filosofi di un tempo dovrebbero essere presi come base per sviluppare le civiltà attuali (e per quello che so sono anche alla base del pensiero ordinovista, al di là delle menzogne che vengono dette su tale movimento).
      Per chi invece fa il moralista antirazzista, sappia che queste ideologie che oggi vengono definite nazionaliste, “fasciste” o quello che sia, non dovrebbero avere nomi semplicemente perché sono espressioni naturali di ogni popolo, e rappresentano il diritto di tutti di preservare la propria identità e cultura. Addirittura, se applicate in ogni paese, garantiscono la sopravvivenza delle diverse civiltà e dei popoli (purché vi sia il rispetto per gli altri), che di questo passo finiranno col morire.

  4. Vincenzo Pagnotta says:

    ma come è possibile che Platone abbia conosciuto uomini come i politici dei nostri giorni ? E come mai nessuno oggi ha interesse a divulgare le sue idee ? Non sarebbe meglio per tutti se un Benigni spiegasse agli Italiani il senso delle istituzioni e come preservarle ?

    • Quando ci si appella a uno come Benigni per spiegare il senso delle istituzioni, allora e’ gia’ tardi.

      • Antongiure says:

        Anziché manipolare (come era solito fare Montanelli che tra le sue “eredità ci ha lasciato elementi come Travaglio e Berlusconi e altri a lui affini) i testi antichi per i propri fini più o meno eticamente orientati (Cicero pro domo sua), basta dal testo letterale tradotto per il professore di greco e di per se poco intellegibile nei contenuti, affiancarne uno che tenga conto della situazione di Atene come narrata nel dialogo del libro VIII della Repubblica e che anziché la comprensione degli aoristi, sposti la traduzione sui contenuti. L’esercizio di intelligenza orientato alla corretta comprensione, è tuttavia oggi come allora ignorato, per il rischio che qualcuno capisca certe porcherie e si incavoli, in danno di chi s’indigna, ma non smette di lucrarne. La confusione era fomentata dai “giornalisti” del tempo, pagati dai potenti e ricchi di Atene, per denigrare e infangare i propri avversari e concorrenti (moltissimi erano i Montanelli, i Travaglio, i Sallustri, e i pennivendoli minori del tempo. L’opera di pulizia, a un certo punto, iniziò, ma per renderla possibile ed efficace, si dovette macellare prima questa categoria di venduti al miglior offerente. A quei tempi, s’andava per le spicce…

      • Sisi e’ colpa di Berlusconi. Anche nel 340 AC.

    • r.tosato says:

      “benigni” a spiegare le istituzioni… ci manca solo questa.

  5. Silvia says:

    Perfettamente descrive i nostri tempi!!!

  6. Marco says:

    Tempo fa avevo letto La Repubblica di Platone ma non mi ricordavo nulla di simile a quel post. Quindi l’ho riletto per verificare le parti che avevo perso o non compreso. Dopo questa verifica confermo la mia prima impressione: nel libro VIII si parla delle quattro possibili costituzioni (timocrazia, oligarchia, democrazia e tirannide) dopo aver ampiamente analizzato, nel libro VII, la costituzione ideale per uno stato, ovvero l’aristocrazia.
    Al versetto “562a” si parla del passaggio dalla costituzione democratica alla tirannia. L’unico riferimento agli stranieri si trova al versetto “563a” dove si dice che per eccesso di libertà “il padre si abitua a rendersi simile al figlio e a temere i figlioli, e il figlio simile al padre e a non sentire ne rispetto ne timore dei genitori, per poter essere libero; e che il meteco si parifica al cittadino e il cittadino al meteco, e così dicasi per lo straniero”.
    Il meteco è il forestiero che risiede stabilmente nel territorio di una città, soggetto all’esclusione dalla vita politica e al pagamento di determinate imposte.
    Di tutto il resto che è stato inserito in quel post non vi è traccia.

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