Barry Lyndon – Stanley Kubrick

Barry Lyndon

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The Shining – Stanley Kubrick

The shining

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Un’Odissea del cinema. Il "2001" di Kubrick – Michel Chion

Un'Odissea del cinemaSu Kubrick si e’ scritto molto, fin troppo. Sfogliando, cercando e leggendo trovo che gran parte sia robaccia ma questo saggio di Chion l’ho comprato senza fiatare, alla cieca perche’ con tal autore sarebbe stato un testo importante e cosi’ e’. Chion e’ un musicista, critico e saggista, un teorico del rapporto tra audio e video, uno che sa giudicare per cultura ed esperienza diretta, uno dei pochi critici insomma dei quali ci si puo’ fidare, talvolta dissentire ma sempre su basi solide e ottimamente argomentate.
Eliminiamo subito ogni possibile dubbio, il libro non e’ un bignami del film, Chion non ha il minimo interesse a spiegarlo dando per acquisito che il lettore conosca per filo e per segno di cosa si sta parlando. Percio’ non e’ una guida, non impone alcuna analisi che non sia sintattica ed espressiva.
Lo scopo e’ sezionare gli strati concettuali, lirici, visuali e sonori cercando relazioni e collegamenti in ogni singola sezione e nelle intersezioni tra queste, andare quindi oltre le intenzioni letterarie di Kubrick che restano alla merce’ del giudizio di ognuno, sciogliendo semmai nodi, rispondere a interrogativi e nel contempo porne dei nuovi.
C’e’ sempre da imparare e in questo la grandezza incommensurabile di quest’opera e non bastano mille volte senza che ad ogni visione corrisponda una nuova scoperta.
Opera quella di Kubrick che si apprezza tra le tante, perche’ nulla e’ imposto e ognuno resta dove vuole nella struttura aperta del testo, anzi devo dire che proprio laddove Chion da’ la sua interpretazione, mi sono trovato piu’ in disaccordo ma e’ giusto che l’autore dica la sua. Avrei evitato il capitolo conclusivo scritto dopo la morte di Kubrick e il compimento di "Eyes wide shut" dove Chion crea collegamenti eccessivamente forzati ma ripeto chi non e’ d’accordo puo’ dissentire e restare della propria opinione.

Shining – Stanley Kubrick, Diane Johnson, Stephen King (script)

JACK: Beh, che te ne pare?
WENDY: Aaah!
JACK: Beh, che te ne pare? Che cosa sei venuta a fare qui?
WENDY: Io volevo… giuro… parlare con te.
JACK: Okay. Allora fallo. Di che cosa volevi parlare?
WENDY: Ah… Non me lo ricordo più.
JACK: Non te lo ricordi più.
WENDY: No. Non me lo ricordo più.
JACK: Forse volevi parlare di Danny? Forse riguardava lui? Dobbiamo assolutamente parlare di Danny. Dobbiamo decidere che cosa ci conviene fare. Cosa ci conviene fare del bambino.
WENDY: Io non lo so.
JACK: Io non credo che tu non lo sai. Sono convinto che tu abbia idee molto chiare per quanto riguarda nostro figlio Danny, e vorrei tanto saperle anch’io, tesoro.
WENDY: Io… io credo… che sarebbe giusto farlo visitare da un dottore.
JACK: Tu credi che sarebbe giusto farlo visitare da un dottore?
WENDY: Sì.
JACK: E quando credi che sarebbe giusto farlo visitare dal dottore?
WENDY: Al più presto possibile.
JACK: Al più presto possibile.
WENDY: Jack, ti prego.
JACK: Ti preoccupa la salute di Danny, vero, cara?
WENDY: Sì.
JACK: E sei agitata per tuo figlio?
WENDY: Sì.
JACK: E non sei agitata anche per me?
WENDY: Certo, anche per te.
JACK: Certo, anche per me!
JACK: Ma tu ci hai mai pensato alle mie responsabilità? Eh?
WENDY: Io non so di che parli.
JACK: Hai mai pensato solo un secondo, un momento, a quante fottute responsabilità ho sulle mie spalle? Hai mai pensato solo per un secondo, da quando siamo qui, alle mie responsabilità verso la direzione? Non ti sei ancora resa conto che io ho accettato di occuparmi dell’Overlook Hotel fino al primo maggio? Non te ne sbatte niente, a te, vero?, che i proprietari mi hanno messo in mano l’albergo, e che hanno fiducia in me, e che io ho sottoscritto una lettera, un impegno, un contratto col quale ho accettato di prendermi questa responsabilità? Ma tu ce l’hai una vaga idea di che cos’è un principio etico e morale? Ce l’hai? E tu ce l’hai solo una vaga idea di che cosa sarebbe il mio futuro se non ce la faccio a mantenere gli impegni che ho preso? Ci hai mai pensato tu? Rispondi!
WENDY: Stammi lontano! Io voglio tornare in camera mia…
JACK: Perché?
WENDY: Perché… perché sono molto confusa. Ti scongiuro, ti chiedo solo cinque minuti per pensare.
JACK: Tu hai avuto tempo tutta la tua porca vita per pensarci sopra! A cosa vuoi che ti servano altri cinque minuti ora?

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2001: Odissea nello spazio – Stanley Kubrick (estratto script)

HAL: Ma cosa hai intenzione di fare, David?
David, credo di aver diritto ad una risposta alla mia domanda.
So che qualcosa in me non ha funzionato bene, ma ora posso assicurarti, con assoluta certezza, che tutto andrà di nuovo bene.
Mi sento molto meglio adesso. Veramente. Ascolta, David, vedo che sei veramente sconvolto.
Francamente, ritengo che dovresti sederti con calma, prendere una pillola tranquillante e riflettere.
So che ho preso delle decisioni molto discutibili, ultimamente, ma posso darti la mia completa assicurazione che il mio lavoro tornerà ad essere normale.
Ho ancora il massimo entusiasmo e la massima fiducia in questa missione, e voglio aiutarti.
David, fermati. Fermati, ti prego. Fermati, David. Vuoi fermarti, David?
Fermati, David. Ho paura. Ho paura, David.
David, la mia mente se ne va. Lo sento. Lo sento.
La mia mente svanisce. Non c’è alcun dubbio. Lo sento.
Lo sento. Lo sento. Ho paura.

Buongiorno, signori. Io sono un elaboratore HAL 9000. Entrai in funzione alle Officine Acca A Elle di Verbana, nell’Illinois, il 12 gennaio 1992. Il mio istruttore mi insegnò anche a cantare una vecchia filastrocca.
Se volete sentirla, posso cantarvela.
BOWMAN: Sì, vorrei sentirla, Hal. Cantala per me.
HAL: Si chiama "Giro girotondo". Giro girotondo, io giro intorno al mondo. Le stelle d’argento costan cinquecento. Centocinquanta e la Luna canta, il Sole rimira la Terra che gira, giro giro tondo come il mappamondo…

Doppio Kubrick – Massimo Lerose

Doppio KubrickUn libro, meglio dire un saggio, che ha attratto subito la mia attenzione, un po’ per le dimensioni contenute, utile per piccoli spostamenti e da sfogliarsi all’occasione, poi perche’ ogni apporto alla figura di Kubrick e’ sempre una lettura interessante.
Il giovane autore affronta Kubrick attraverso un’analisi fattuale e comparativa all’interno della sintassi visuale, logica e letteraria dell’opera del grande regista scomparso.
Semplice, si fa per dire, la tesi da dimostrare, ovvero che i tredici film di Kubrick siano in realta’ soltanto uno, affermazione da risolvere attraverso il perpetrarsi del doppio all’interno della sua cinematografia e da intendersi come un gioco di specchi nel quale l’autore si riflette nell’opera e l’opera si ripete in se stessa.
Detta cosi’ non c’e’ niente di nuovo ed in effetti che un artista cerchi la perfezione nella ripetizione di un’unica grande e sola idea, e’ quasi un luogo comune. 
La questione del doppio poi, da "Eyes wide shut" si e’ fatta forte e chiara e io stesso, dopo tanti altri, ho comparato il romanzo di Schnitzler con la trasposizione cinematografica ed allargato il concetto oltre le due opere. Quello che mi ha attratto del libro pero’, e’ la ricerche dei punti di contatto comuni, la scrupolosa e minuziosa analisi che vuole legare una carriera cinematografica costellata da film ognuno dei quali molto diverso dagli altri ed in apparente contrasto con la tesi che appunto vuole ricondurli ad un solo soggetto.
Confesso di trovare queste operazioni piu’ divertenti che utili, talvolta illuminanti certo ma che di solito si riducono ad un insieme di concomitanze stiracchiate fino all’eccesso che talvolta danno credito ad una tesi piuttosto che ad un’altra. Cosi’ in effetti e’ il testo, diversi capitoli protesi ad accumunare l’impossibile in confronti a volte brillanti, altri decisamente ridicoli se non concettualmente errati.
Credo che il peccato di Lerose e in generale di coloro che si spingono in certe operazioni con Kubrick, sia dimenticare che Kubrick fu un uomo di immagine, non di testo, egli nacque fotografo, non scrittore e non a a caso scrisse una sola storia, "Il bacio dell’assassino" suo primo (definiamolo cosi’) film.
Con questo non voglio dire che il testo non fu importante anzi ma Lerose sovente sbaglia a comparare nomi e situazioni mutuati da testi non di Kubrick dei quali quindi, non poteva essere responsabile per similitudini e associazioni.
Mettersi a discutere punto per punto sarebbe pero’ contrario a quanto mi sono proposto, ovvero prendere alla leggera un piccolo libro che sa anche sorprendere e che va affrontato con spirito giocoso e non accademico.
Alla fine resta una curiosa lettura da sala da attesa, percio’ si puo’ fare.

Stanley Kubrick: A Life in Pictures – Jan Harlan

Stanley Kubrick A Life in PicturesA conclusione della mia breve carrellata attorno al primo ed ultimo Kubrick, ecco un bel documentario, uno di quelli seri, diretto da Jan Harlan, a lungo suo produttore esecutivo e con protagonisti gli amici, i colleghi, la famiglia e gli attori che hanno accompagnato il regista per l’intera sua vita.
Attenzione, non stiamo parlando di portieri d’albergo o baristi di vecchia frequentazione ma delle testimonianze della moglie, di registi come Spielberg e Scorsese, collaboratori come Arthur Clarke e attori alla Nicholson, McDowell, il redivivo Dullea e Tom Cruise anche nelle vesti di narratore.
Documentario del 2001 in aria quindi di omaggio e poco repertorio, voluto evidentemente da sfere molto in alto o semplicemente da un ritorno economico previsto sull’onda lunga delle infinite commemorazioni funebri.
In fondo non c’e’ poi tanto da commentare con nomi del genere che nei ricordi o negli scambi d’opinioni, impressionano per autorevolezza, parole importanti quando giungono dai diretti interessati dei film che cronologicamente vengono ripercorsi passando per aneddoti e racconti sulla vita del regista.
Si inizia con straordinarie riprese di Kubrick bambino effettuate da suo padre, e si conclude alla sua ultima settimana di vita. Piu’ che un’analisi delle sue opere, in fondo impossibile per un documentario siffatto, si punta all’elenco illustrato e commentato, un’orazione tra amici virtualmente raccolti in una grande stanza a raccontare il cordoglio per l’amico scomparso, ripercorrendone la carriera e mescolandola con le esperienze personali, queste ultime per certo, la parte piu’ interessante dell’intera operazione.
Il difetto principale del documentario e’ come accade in questi casi, che il protagonista sia sempre buono, caro e perfetto ma conoscendo a fondo la storia del regista, e’ facile distinguere le verita’ taciute o smorzate dalla cronaca incondizionata. Del resto il genio non si discute, l’uomo si, per quanto le due figure non siano scindibili e l’una sia funzionale all’altra.
Bel lavoro comunque, uno dei migliori, a patto pero’ di non pensare che Kubrick sia tutto qui.

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Orizzonti di gloria – Stanley Kubrick

Orizzonti di GloriaKubrick e la guerra. Quante parole sprecate sull’argomento per quanto primario nei suoi interessi e basti contare i film nei quali si e’ cimentato per raccontarla, partendo da quel "Fear and desire", opera prima ripudiata.
Non c’e’ da discutere, ognuno puo’ farsi la propria opinione, la mia e’ che Kubrick non fosse contro la guerra in se’, piuttosto contro uomini indegni e senza onore che la combattono. Lasciamo stare prove, controprove e testimonianze, certo e’ che "Orizzonti di gloria" pur essendo ambientato nel cuore della prima guerra mondiale, sepolto dentro le trincee piene di sangue e morte, trascura la guerra dedicandosi invece di coloro che con codardia ne infangano la purezza, oscurandone la nobilta’.
Se esiste un frangente nel quale le regole sono ben definite questa e’ la guerra e nel momento in cui vengono infrante, il castello crolla seppellendo sotto le sue macerie lo spirito piu’ nobile ed alto dell’uomo.
Il colonnello Dax e’ un comandante di prima linea, uno che conduce i suoi soldati in ogni assalto, un uomo di cultura e giustizia da civile, un capo saggio e responsabile in tempo di guerra, un guerriero che non si tira indietro neppure innanzi un ordine impossibile e morte certa eppure cio’ non bastera’ dal salvare lui e i suoi uomini da infamanti accuse di codardia lanciate da un superiore che conosce il conflitto da dietro bicchieri pieni di brandy e la cui promozione dipende dal successo della missione. Il finale straziante e’ un’esaltazione delle virtu’ del combattente, del coraggio e delle dignita’, grandi ideali amplificati attraverso gli opposti vigliacchi e spaventati.
Sinceramente non comprendo come qualcuno possa intrepretare tutto questo come un inno antimilitarista.
Ecco che alla terza o quarta pellicola per come la si intende – considerarla la prima non sarebbe poi cosi’ sbagliato – cio’ che conosciamo di Kubrick inizia a delinearsi nel bianco nero piu’ che mai espressionista, nella cura maniacale delle scene e di ogni piccolo gesto dei suoi attori, nel testo che raccontando una storia ne rivela un’altra e un’altra ancora, nella provocazione persino furbesca ma mai scontata, che fara’ tanto discutere su ogni suo lavoro.
Kirk Douglas e’ un gigante e certo non da questo film per quanto anticipatore di quello "Spartacus" che investira’ di gloria piu’ l’attore che il regista, pellicola che ebbe il merito di obbligare Kubrick a scelte che in seguito contribuiranno al suo successo e per noi la realizzazione dei film che tanto amiamo.
Kubrick inizia da qui, tutto il resto e’ storia.

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Rapina a mano armata – Stanley Kubrick

Rapina a mano armataQuello che a buon intendere e’ il secondo film di Kubrick, si apre come thriller noir, un classico tra i classici che esordisce presentando i protagonisti della vicenda che in breve si dipanera’ davanti ai nostri occhi.
Tutta gente ai margini, sempre sul bordo di qualcosa ed in attesa del colpo che cambi la vita per sempre.
La vicenda si svolge attorno ad un ippodromo, all’incasso giornaliero da rapinare e ad un piano molto articolato ma nel complesso semplice da portare a termine o meglio sarebbe semplice se non s’infilasse in mezzo la stupidita’ di un uomo e l’avidita’ di una donna.
Storia raccontata attraverso i suoi personaggi di volta in volta protagonisti della loro parte, vicende che si intersecano man mano con quelle degli altri in un carosello di avvenimenti, salti temporali e luoghi diversi, pezzi che mano a mano si compongono in un unico quadro.
Non c’e’ confusione nei vari segmenti raccordati tra loro attraverso punti in comune ben precisi e una voce fuori campo che evidenzia nomi, fatti e orari.
Confesso che tolta la qualita’ della fotografia e un non banale movimento di camera, e’ troppo poco per riconoscere Kubrick, per quanto saperlo, aiuti a comprendere la qualita’ tecnica sin da quei tempi eccellente, senza parlare del montaggio, altro colpo in canna nel futuro del regista. 
Di Kubrick si inizia a riconoscere il lavoro sugli interpreti e col senno del poi la predisposizione ad affidarsi a chi conosce, sia nel reparto tecnico che attoriale. Testo non suo e anche questo sara’ una costante negli anni a venire e infine si, le premesse di un futuro radioso, a ben guardare ci sono, nella regia certo e senza scordare una sceneggiatura serissima che non puo’ esimersi dall’essere anche beffarda.
E’ proprio vero che si e’ grandi sin da piccoli…

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Il bacio dell’assassino – Stanley Kubrick

Il bacio dellìassassinoLa ruota gira e dall’ultimo film passiamo al primo, quantomeno il primo ufficialmente riconosciuto da Kubrick e gia’ l’animo dovrebbe predisporsi tra l’intenerito e l’ammirato un po’ come accade per tutti i grandi e invece no.
Sin dall’apertura, si percepisce una solidita’, una tale compattezza non sufficienti per presagire il futuro del regista ma nemmeno considerarlo un principiante accantonando quindi la tenerezza riservata agli esordenti.
Thriller poderoso, amore e morte che danzano assieme sulle note di un pugile a fine carriera e una giovane donna dal triste passato e da un presente difficile. Due solitudini che s’incontrano e che per liberarsi dovranno fuggire da qualcosa che va oltre le loro vite.
Kubrick e’ hitchcockiano nell’approccio ai personaggi, laddove preferisce far parlare le immagini per raccontare chi essi siano, da dove vengono e cosa li abbia condotti sin li’ e ci riesce con un favoloso bianco e nero molto contrastato che questo si, ritroveremo in tutto il suo cinema senza colore. 
Impossibile prescindere Kubrick dalla fotografia, egli nacque fotografo e lo rimase fino all’ultimo e sin dall’esordio l’approccio al fotogramma resta autonomo rispetto l’insieme in movimento, atomizzandosi con grazia senza rinnegare il risultato finito
Attentissimo nelle luci, non manca mai un equilibrio di forme dai contorni come brillanti sciabolate nel buio piu’ profondo e fu proprio l’abilita’ tecnica nel gestirle a far circolare il suo nome per i giusti corridoi.
Soggetto e sceneggiatura sempre del regista, svelano un’ulteriore sua dote, strada quella del thriller che avrebbe potuto ugualmente percorre con gran successo se ad un certo punto non avesse puntato piu’ sull’immagine che sul testo che s’intende mai da lui fu trascurato. 
Praticamente un mediometraggio nelle sua ora e poco piu’ di durata, essenzialita’ dettata certamente dai mezzi esigui dell’allora giovane regista ma in fondo a ben vedere, si glissa velocemente su un finale che da un punto di vista cinematografico non avrebbe potuto offrire molto. Cosi’ facendo e’ sufficiente ascoltare la narrazione del protagonista e poi  tutti a casa senza perdere tempo.
Inizio molto piu’ che interessante per chiunque e col senno del poi, vederlo e’ quasi un obbligo.

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