Straziami ma di baci saziami – Dino Risi

Straziami ma di baci saziami

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In nome del popolo italiano – Dino Risi

In nome del popolo italiano

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Fantasma d’amore – Dino Risi

Fantasma d'amore

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Il gaucho – Dino Risi

Il gaucho

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I mostri – Dino Risi

I mostri

La stanza del vescovo – Dino Risi

La stanza del vescovoDino Risi su un racconto di Piero Chiara, anzi un racconto inequivocabilmente di Piero Chiara.
Protagonista e’ Patrick Dewaere, gaudente navigatore del Lago Maggiore che incontra l’ancor piu’ gaudente Ugo Tognazzi, personaggio curioso con la fissa del sesso che in breve lo coinvolge nella sua vita personale e si fa coinvolgere nei viaggi di piacere dell’altro. In mezzo al turbinio di donne, spunta la cognata di Tognazzi, la bellissima Ornella Muti, da poco vedova di matrimonio contratto per procura, quindi libera e vogliosa di recuperare il tempo perduto.
In realta’ la faccenda si rivelera’ piu’ complicata di cosi’.
Che il testo appartenga a Chiara lo si capisce dalla presenza del lago, culla di placida indolenza e di carattere conseguente al clima e al territorio.
Il protagonista e’ di Luino, come Chiara e come Chiara un retroterra simile e simile storia passata. Del resto lo scrittore lo sappiamo, attinge molto piu’ che di frequente dalla sua esperienza.
Film del 1977 perfettamente in linea col periodo. Ponendosi al centro esatto tra le dottoresse e i militari dove i nudi inutili non mancano e il cinema d’autore con un testo importante alle spalle e un casting ricercato, aderisce perfettamente al tentativo del cinema italiano di allora di accontentare il basso proletariato facendolo felice con la giusta dose di… tinca (vedi il film) e un pubblico piu’ ricercato l quale comunque la "tinca" non fa schifo.
Accenno di giallo nella seconda meta’ del film, di certo la piu’ interessante e meno caciarona, laddove i personaggi riescono a guadagnare un po’ di spessore uscendo dalle file delle macchiette.
Protagonista assoluto Ugo Tognazzi che aggiungendo la maturita’ all’indole del satiro, ritrova un ruolo perfetto che riconosciamo in moltissimi suoi altri film. Indubbiamente Tognazzi ci metteva del suo in questi abiti.
Ornella Muti a 22 anni era di una bellezza commovente (sempre restando in tema col Tognazzi pensiero) per quanto la recitazione non sia il suo pregio migliore ma vabbe’ in fondo chi se ne frega.
Film invecchiatissimo sotto ogni punto di vista, rappresenta la fine di un’era la cui stanchezza e’ palpabile anche a distanza di tanti anni.

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Operazione San Gennaro – Dino Risi

Operazione San GennaroIdea straordinaria per un colpo: rubare il tesoro di San Gennaro a Napoli, valore nel 1966 di trenta dicasi trenta miliardi. A chi poteva venire questa idea se non a degli americani ipertecnologici e iperorganizzati?
Per realizzare il colpo serve pero’ una logistica in loco e uomini della zona e cosi’ il capo banda si rivolge al boss dei boss, un Toto’ factotum che dara’ compito a Nino Manfredi il suo delfino, di aiutare la gang statunitense. Scoperto che il furto e’ a scapito di San Gennaro c’e’ un primo rifiuto, poi la possibilita’ di ridistribuire quel denaro per grandi opere convince lui e i suoi scagnozzi. La rapina ha inizio, va a buon fine ma dopo una serie di pacchi e contropacchi, puniranno i cattivi e Manfredi ne uscira’ come eroe.
Vorrei parlarne bene perche’ il film ispira simpatia intendiamoci. A partire dai suoi protagonisti, Toto’ ha una piccola parte ma diverte da grande, Manfredi in quegli anni confermava di essere un grande attore appena agli inizi di una carriera che doveva ancora dare il meglio di se’. Senta Berger non finiva piu’ e Mario Adorf rivela una verve cartoonesca esilarante.
Da un lato mi ha divertito, dall’altro ha scatenato una reazione di fastidio con una punta d’indignazione. Non e’ da me ragionare dei massimi sistemi su un filmino con pretese nazionalpopolari, eppure l’eccesso mi ha infastidito.
Voglio dire, che il prodotto sia diretto al mercato internazionale e’ fuori di dubbio e basti vedere le coproduzioni e la nutrita presenza di attori esteri ma proprio per questo trovo inaccettabili le semplificazioni di una Napoli dipinta e non raccontata. Perché’ ancora oggi ci indigniamo scoprendo che all’estero non decade l’equazione Italia=pizza+spaghetti+mandolino+mafia, se poi per primi ci pubblicizzammo, magari vantandoci di una Napoli dove la gente ti deruba, i vetturini ti fregano, le forze dell’ordine sono in combutta con la malavita a sua volta sostenuta dalla popolazione tutta mentre in sottofondo c’e’ il "festival della canzone napoletana"? Tutti simpatici, tutti folkloristici e colorati, sole, mare e a pummarola n’coppa e ci mancherebbe altro che dovessimo stare li’ a compiangerci come Rosi ma non lamentiamoci nemmeno della rassegnazione ai morti di Scampia.
Non so, davvero non saprei dire se valeva la pena attirare turisti con la promessa di trovare uno zoo umano mentre il marcio si faceva strada con la compiacenza di un Sud arreso e di un Nord che se ne fotteva altamente nella corsa al boom. Questa Napoli qua non mi ispira affatto simpatia, mi fa persino un po’ schifo.
Ripeto, so di essere eccessivo dando troppo peso ad una inezia peraltro talentuosa ma le fiaccolate odierne danno il voltastomaco nella loro inutile retorica ancora piu’ di questo film, ed e’ ora di cambiare marcia prima nel modo d’intendere Napoli o almeno iniziare con questo, sai mai che le cose cambino sul serio.

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Il vedovo – Dino Risi

Il vedovoAlberto Sordi fu l’interprete piu’ grande e importante di quell’Italia che seppe emergere dall’abisso della guerra, per divenire in pochi anni una potenza industriale. E’ l’Italia che terroristi e amici loro stavano per far sprofondare in un nuovo incubo ma che ebbe la forza di reagire e condurci, seppur a glorie alterne, sino all’alba del nuovo millennio.
Nessuno meglio di lui mostro’  miserie e baccanali, la televisione in ogni casa, l’automobile a rate, le ville e le catapecchie morali e non.
Sordi ha indossato tante maschere, tante quanti sono gli italiani, noi poliedrici bambini incapaci di andare oltre il nostro giardinetto che per forza deve essere migliore del vicino e che non molliamo l’osso per niente e nessuno al mondo.
La sua maschera piu’ riuscita pero’ fu quella dello sconfitto, sconfitto dalla guerra, dalla miseria, dalla moglie, dal successo e dal potere e ne "Il vedovo" in fondo, ne impersona piu’ di una.
Se si riconosce ne "Il boom" l’emblema di quell’Italia che non ce l’ha fatta, il volto (e’ il caso di dirlo) di coloro che non si rassegnarono ad una vita ordinaria, "Il vedovo" di fatto anticipa il soggetto anzi in qualche modo ne espande il concetto, non fosse che una carica divertita e caciarona, stempera il dramma nella goliardia.
Sordi, e’ un rampante affarista, si direbbe oggi, peccato sia anche totalmente incapace di concludere un buon affare al contrario della moglie Franca Valeri, ricca e straordinariamente abile. Decisa la moglie a non foraggiare piu’ i fallimenti del marito, a lui non rimane che sperare nel decesso di lei e quando inutilmente si illude di essere divenuto vedovo, a quel punto decidera’ di dare una mano al fato affinche’ il suo desiderio si realizzi.
Un film come questo dimostra ancora una volta come il nostro miglior cinema fu costruito con regia sapiente, ottimi soggetti ma ancor piu’ grandi interpretazioni. Che c’e’ da spiegare, Sordi e nessun altro. Quei cinque secondi sul suo volto quando gli comunicano il decesso della moglie, valgono per molti attori un’intera carriera, non per lui che di interpretazioni simili ne ha fatte a centinaia. Parimenti la Valeri e’ insuperabile nella milanese snob che schiaffeggia anzitempo le femministe a venire, dimostrando che se ci sono capacita’, non c’e’ bisogno di urlare in piazza.
Favoloso, uno dei dieci film da mostrare a coloro che non si capacitano che abbiamo avuto il cinema migliore al mondo.

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Sono fotogenico – Dino Risi

Sono FotogenicoNella progressiva disintegrazione dei sogni di gloria italiani, Dini Risi non poteva esimersi a sua volta dal seppellire in via definitiva il mondo del cinema, quello romano almeno, immerso oramai nel buio oltre il tramonto coincidente con la fine della commedia all’italiana, quella sana grande e forte del ventennio precedente. E’ il 1980 quando Risi salva il salvabile, citando il citabile e sfottendo lo sfottibile grazie all’esperienza di chi, quel cinema che sta morendo ha contribuito a farlo nascere e Renato Pozzetto, l’attore ormai affermato nel periodo di grazia che precede le avvilenti accoppiate con Celentano, Montesano, Villaggio e il resto della triste armata che fara’ incassare ma nel contempo lascera’ il campo sguarnito all’assalto di quel cinema da notturno di Rai 3 che piace solo a chi riceve i contributi statati per farlo.
Pozzetto, il ragazzo comune che piu’ comune non si puo’, dalla vita piu’ ordinaria che piu’ ordinaria di cosi’ non e’ possibile, figlio di una provincia talmente noiosa che persino il sole si esilia permanentemente dietro la nebbia.
Il cinema pero’ e’ un sogno, anzi uno stile di vita e l’arrivo a Roma, sara’ la sveglia suonata attraverso una delusione dopo l’altra, un fallimento dopo l’altro.
In questo canto del cigno del grande cinema italiano, assieme a Risi e Pozzetto troviamo la Fenech, ultima erede delle donne da urlo del nostro cinema, Aldo Maccione che fu troppo bravo come caratterista per assurgere al ruolo da vero protagonista – persino i francesi l’hanno capito – oltre a tante comparsate dei grandi come Gassman e Tognazzi ma anche del sottobosco di mestieranti che a loro volta hanno caratterizzato un’era.
Risi ha il merito di aver fatto scrivere al cinema italiano il proprio epitaffio, l’estrema autocelebrazione prima della scomparsa ed e’ bello che l’ultima parola sia stata una risata

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La moglie del prete – Dino Risi

La moglie del preteC’e’ modo e modo di essere anticlericali e nel 1970, in piena rivoluzione sessuale, colpire la Chiesa Cattolica Romana era facile come battere a braccio di ferro un bambino, persino divertente con la giusta quantita’ di materia grigia. L’argomento a suo tempo sara’ stato certo scottante, oggi e’ infinitamente depotenziato ma andiamo per ordine.
La Loren, bella quanto grintosa, esordisce malmenando l’uomo fedifrago che l’ha ingannata per quattro lunghi anni ma la rabbia si esaurisce nello sconforto e prima di farla finita chiama una linea telefonica di "voce amica" dove entrera’ in contatto con Mastroianni, voce suadente e bella presenza, col piccolo difetto di essere prete.
Quando i due s’incontreranno sara’ grande amore ma non abbastanza grande da cancellare la fede di lui, con tutti i problemi che ne deriveranno.
Risi, Maccari, Zapponi e il team dei testi, e’ in forma come non mostrava da tempo e piu’ di una battuta e’ fulminante, il film corre veloce senza intoppi e divertendo non poco ma e’ anche giusto aggiungere che il merito della buona riuscita va in gran parte ai protagonisti, quella straordinaria coppia Loren e Mastroianni che sotto molti punti di vista, non ha eguali nella storia del cinema. La chimica tra i due e’ stupefacente, meccanismo ad incastro senza imperfezioni, non si potrebbe credere siano semplici colleghi di lavoro nell’esibire un’affinita’ di coppia fenomenale, amplificata dalla comune presenza scenica che definire perfetta significa sminuire la perfezione.
Se il soggetto stimola e l’interpretazione esalta, la sceneggiatura nel compimento finale, purtroppo affonda nel modo piu’ insensato restando funzionale solo all’idea di critica incondizionata al clero ma e’ una pratica che si risolve in pochi minuti e rimane il resto del film col quale sorridere e divertirsi.
Ecco, basta non farne un trattato e il film riprende il giusto tono e il giusto modo per essere visto.

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