L’incisore della vita – Raymond Carver

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Per favore, non facciamo gli eroi – Raymond Carver

Per favore, non facciamo gli eroi

Una cosa piccola ma buona (Cattedrale) – Raymond Carver (completo)

Quel sabato pomeriggio andò in auto dal fornaio al centro acquisti. Dopo aver passato in rassegna le fotografie delle torte appiccicate sulle pagine di un raccoglitore, ordinò quella al cioccolato, la preferita dal bambino. La torta che scelse era sormontata da un razzo spaziale e da una rampa di lancio sotto una manciata di stelle bianche e un pianete di zucchero rosso. Il nome, Scotty, sarebbe stato tracciato a lettere verdi sotto il pianeta. Il fornaio, che era un signore anziano, dal collo spesso, ascoltò senza dire niente quando lei gli spiegò che il bambino avrebbe compiuto otto anni quel lunedì. Il fornaio indossava un grembiule bianco che somigliava a un camiciotto. I legacci gli passavano sotto le braccia girandogli sulla schiena per poi tornare davanti dov’erano legati sotto lo stomaco prominente. Si asciugò le mani nel grembiule ascoltandola. Teneva gli occhi sulle fotografie e la lasciava parlare. Le diede tutto il tempo. Era appena arrivato al lavoro e sene sarebbe rimasto tutta la notte lì al forno e quindi non aveva assolutamente fretta.
Lei diede al fornaio il suo nome, Ann Weiss, e il numero di telefono. La torta sarebbe stata pronta il lunedì mattina, appena uscita dal forno, ampiamente in tempo per la festa del bambino quel pomeriggio. Il fornaio non era gioviale. Non si scambiarono piacevolezze, appena il minimo indispensabile, le informazioni necessarie. La fece sentire a disagio, e non le piacque. Mentre lui stava chino sul bancone con in mano la matita, lei gli esaminò i lineamenti rozzi e si chiese se nella vita avesse mai fatto niente oltre al lavoro del forno. Era una mamma di trentatré anni e le sembrava che chiunque, specialmente qualcuno dell’età del fornaio – un uomo che avrebbe potuto esserle padre- doveva pur aver avuto dei bambini che erano passati da quell’età tutta speciale fatta di torte e di compleanni. Almeno quello avrebbero potuto condividerlo. Ma lui fu brusco -non maleducato, soltanto brusco. Rinunciò a fare amicizia con lui. Guardò verso il retrobottega e poté vedere un tavolone lungo, di legno pesante con le forme in alluminio per le torte accatastate a un’estremità, e accanto al tavolone un carrello metallico a ripiani, tutti vuoti. C’era un forno enorme. E una radio stava suonando della musica country-western.
Il fornaio finì di scrivere i dati su uno speciale tagliando e chiuse il raccoglitore. La guardò e disse: ”Lunedì mattina.” Lei lo ringraziò e tornò a casa in auto.

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America oggi – Robert Altman

America oggiPortare Raymond Carver al cinema? Impossibile.
No, non perche’ e’ morto, sciocchini ma per la semplice ragione che Carver e’ parola, anzi e’ l’essenza della parola e laddove un aggettivo sbagliato o di troppo sbilancia un intero periodo, non e’ pensabile estendere o trasportare i suoi racconti in altro che non siano le medesime parole pedissequamente ricopiate.
Si pensi solo al casino con Lish…
Bene, escludiamo Carver dalla faccenda o quantomeno teniamo dentro alcuni degli interpreti dei suoi racconti e l’ispirazione in cio’ che fanno e s’inizi a parlare di Altman.
Mai avuta particolare simpatia per Altman. Si si, lo so e’ quello di "Mash" ma e’ anche quello di "Popeye" per dirla tutta.
Qualcuno definisce questo film come un impietoso affresco degli anni ’90; a me pare piu’ un tappeto rosso sotto i piedi della Hollywood liberal di quegli anni, precisando semmai che e’ un gran bel tappeto quando e’ Carver a tesserne la trama.
Non sto dicendo sia un brutto film, impossibile spingersi a questo punto, del resto gli attori malgrado l’handicap liberal, volendo sanno recitare e Altman fu uno che il cinema aveva anche imparato a farlo ma resto dell’idea che come il suo regista, sia una pellicola molto sopravvalutata, molto amata nell’Europa antimperialista, ovvero quella che regala premi e in generale che sia la coralita’ del cast a fare il suo porco effetto.
Lo ammetto, sono eccessivamente duro nei confronti del film indubbiamente impegnativo e ben svolto ma se si considera Carver come un immenso campo innevato che affascina per perfezione e purezza e laddove anche una sola impronta distrugge un orizzonte, anche una buona resa, resta sempre pessima.
Indubbiamente riuscito invece l’incrocio tra personaggi e storie, il legare con un filo rosso i racconti di Carver in un solo continuum spaziale e temporale, operazione non sempre facile e in taluni casi sorprendente.
Non raggiunge la perfezione tecnica dell’insuperabile "Magnolia" ma arrivando con un lustro d’anticipo, "America oggi" pose uno standard. Per il resto c’e’ del buono e meno buono, c’e’ il solito jazz di chi ha comprato due libri della "City Lights" e per aver ascoltato un cugino di secondo grado recitare "Howl" si crede beatnik, il montaggio in piu’ d’una occasione discutibile – non si puo’ spezzare il pathos nel finale di "Una cosa piccola ma buona" – e alcune scelte sul testo forzate ed evitabili. Anche la conclusione, potrebbe apparire necessaria per legare gli episodi tra loro ma si poteva fare di meglio, ad esempio non legandoli affatto.
Non so, fate voi. A me dopo la visione e’ salita feroce la voglia di rileggere Carver e di rivedere Jiulianne Moore senza mutande, tutte cose buone e forse e dico forse, ne vale la pena.

Scheda IMDB

Il mestiere di scrivere – Raymond Carver

Il mestiere di scrivereChi non vorrebbe essere cosi’ famoso da vedersi pubblicati anche gli appunti o le liste per la spesa?
Con moderazione s’intende perche’ a quel punto si e’ molto vecchi o molto morti.
Non e’ il caso di questa raccolta ben confezionata e ben curata ma e’ pur vero che se Carver fosse oggi vivo, non avremmo letto "Il mestiere di scrivere".
L’operazione si barcamena tra il documento totale e la bieca manovra commerciale, acquisendo un considerevole valore grazie al famelico appetito di coloro che si nutrono di ogni sillaba scritta da Carver.
Diverse sono le sue prefazioni e altrettanti gli articoli, una intera lezione da egli tenuta nei panni di docente di scrittura creativa e alcuni omaggi di ex studenti, tra i quali il celebre e straordinario Jay McInerney non a caso qui presente.
Con operazioni simili su altri autori, ci si potrebbe persino indignare ma e’ forte la tentazione di scoprire la magia di Carver e con ogni mezzo, anche questo libro, cercare di carpirne i segreti e i ferri del mestiere.
Cio’ che ne viene fuori pero’ e’ che non esiste una magia di Carver o piu’ prosaicamente una tecnica di Carver.
Esiste la fortuna, esiste l’opportunita’, esiste il destino che porta su certe strade e non altre ed esiste l’indole e la predisposizione e certo, gli incontri giusti.
Viene fuori un uomo timido e grato, dalle braccia talmente abituate a lavorare duramente per vivere che la fortuna di scrivere e’ ancora oltre la sua piena consapevolezza. Brama di dolcezza, dolcezza e comprensione elargiti a chiunque cosi’ come chi ha patito la fame vera non nega a nessuno un tozzo di pane.
Uomo riflessivo, essenziale anche nel privato, capace di attraversare in silenzio intere conversazioni animate e porre il punto conclusivo con poche efficacissime parole, un uomo che sa riconoscere i debiti nei confronti del prossimo e non teme l’umilta’ innanzi ai propri maestri.
Ne esce una bella figura e se il libro ha uno scarso valore tecnico, quello umano e’ incommensurabile.

Vuoi star zitta per favore? – Raymond Carver

Vuoi star zitta per favoreMezzanotte passata, caldo inaspettato ad inaugurare l’arrivo dell’estate, finestrini abbassati e condizionatore spento, il clima ancora lo concede e dall’autoradio Raymond Carver sotto forma di podcast.
Strade popolate ma non troppo, inaspettate officine aperte e gente al lavoro, crisi o avidita’ chi puo’ dirlo, pochi bar silenziosi e rassegnati, ancora qualcuno che passeggia, assonnati padroni e vispi cani, avvolti in una nuvola di fumo i primi, in preda a odori e ormoni i secondi.
Guidavo lento su strade senza orario, tempo cristallizzato nell’ascolto e nell’alternarsi di luci e oscurita’ e d’un tratto eccola li’ l’America di Carver, li’ quelle strade, li’ gli uomini, le donne o cio’ che di loro resta.
L’America non esiste, oltreoceano non c’e’ nulla perche’ anche l’oceano e’ nulla, l’America non e’ nei film e non e’ nelle canzoni, tantomeno la si trova nei libri o nei giornali.
L’America e’ uno stato della mente e Carver e’ un fantasma che ci alita sul volto un passato al quale non diamo piu’ ascolto e credito. Egli non racconta di uomini e donne, le sue non sono citta’ leggendarie e le auto che sputano fumo e olio sono come le nostre, anzi sono le nostre.
E’ trovare il sapore delle sigarette quando fumare e’ cio’ che resta da fare, e’ il ricordo delle donne che un tempo si sono pur amate e delle quali resta un ghigno amaro senza troppo impegno o cattiveria.
Si e’ bevuto per forza o per passione, i letti prima o dopo si disfano tanto qualcuno provvedera’ a rifarli mentre il tempo comunque passa, verso la destinazione di un singolo attimo, perche’ il resto sono solo ricordi.
Padri, figli, che importa, tutto ruota ma cio’ che rimane e’ cosa si e’ immaginato, non cio’ che e’ stato e laggiu’ ormai nascosta, c’e’ una giovinezza dimenticata, stallo tra maturare e invecchiare e la scelta e’ non scegliere, mai.
La raccolta di Carver e’ costellata di asperita’ e ruvidezze tipiche dei primi approcci letterari ma sa evitare le ingenuita’ con lo stile che gli e’ proprio e che l’ha reso grande oltre i grandi.
Si evitino i confronti perche’ Carver fu narratore di situazioni e nella lingua universale della sconfitta ha compreso e ci fa comprendere che si nasce con una vittoria ma alla fine si puo’ solo perdere.
In questo non esiste un Carver-prima e un Carver-dopo, non c’e’ un Lish e tantomeno l’inutile girandola polemica su stile e contro stile.
Qui dentro respira l’umido della notte, spaventosi silenzi e uno specchio nel quale e’ fatica guardarsi, il resto e’ grammatica.
"Si penso’, c’era proprio una gran malvagita’ che premeva sul mondo e aveva bisogno solo di uno spiraglio, bastava la benche’ minima fessura."

RadioRai Podcast – I Racconti di Raymond Carver

Principianti / Di cosa parliamo quando parliamo d’amore – Raymond Carver

PrincipiantiChe il titolo non tragga in inganno: non voglio entrare nella polemica, disquisizione, analisi o chiamatela come volete, legata alle due versioni del libro di Carver o in generale della diatriba Carver – Lish e tantomeno dar corda all’ultimo aggregato Baricco e alla sua corte adorante ed autocompiacente.
Gordon Lish ebbe tanti ruoli per Carver; fu suo editor ma prima amico, per molti versi scopritore, sostenitore e persino salvatore a quanto si legge dalle missive.
Fu pero’ anche padre e padrone, despota, gelido ed irremovibile alle suppliche di non pubblicare i tagli e le variazioni da lui imposti sulla raccolta.
Nacque cosi’  “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” editata da Lish e da lui portata alla ribalta e in seguito “Principianti”, riedizione postuma voluta fortemente dagli eredi di Carver che mostra il vero volto dei racconti liberi da tagli e modifiche.
Senza leggere una riga, il numero raddoppiato di pagine da’ subito il senso delle pesanti variazioni alle quali il testo e’ stato sottoposto ma non e’ questo il fulcro della polemica.
In parole povere ci si domanda quale sia il vero Carver, quello voluto da Lish e col quale e’ divenuto celebre oppure l’inedito e genuino non rimaneggiato.
Dal mio punto di vista il problema non si pone o perlomeno serve intendersi su cosa sia un testo o un’opera in genere. Spostandoci in ambito musicale, il valore di un brano e’ dato dal complesso di melodia, orchestrazione e arrangiamento o dalla musica in se’?
Si puo’ ritenere forse che un arrangiamento trasformi la natura profonda della melodia al di la’ del fatto che un arrangiamento lo si preferisca ad un altro?
Girando la questione, puo’ un arrangiamento diverso e migliore di quello dell’autore, togliergli la potesta’ tecnica e morale del brano?
Di cosa parliamo quando parliamo d'amoreConsidero una canzone soggettivamente bella o brutta e mi si concedano questi semplici aggettivi, a prescindere dall’arrangiamento che a sua volta puo’ essere valido o non valido e forse complicare l’esperienza d’ascolto, lasciando tuttavia invariato il senso del brano.
Carver resta Carver, poi si puo’ preferire un arrangiamento piuttosto che un altro ma l’impatto data da tecnica e visione complessiva del racconto non cambia.
Ho letto le due raccolte nello stesso tempo, racconto affiancato da racconto e ho preferito a volte una versione a volte l’altra, col predominio di massima degli originali di “Principianti” ma mai e dico mai ho smarrito o confuso l’anima di Carver.
Possiamo disquisire sul metodo, perdere ore ad analizzare ogni singola frase e sviscerare l’epos e l’ethos dal titolo alla conclusione ma sarebbe analisi sull’arrangiamento, non sulla forma e la forma, cio’ che conta, ha nome Carver.
Evito ancora una volta di scendere nel dettaglio dei racconti, si puo’ fare se interessa ma non mi discosto da quanto ho scritto su “Cattedrale”: c’e’ un senso assoluto ed indipendente, quasi oggettivo delle persone, delle cose e dei fatti e qui sta la maestria dello scrivere e il fascino del leggere.
Quale preferisco tra “Principianti” e “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”?
Di massima “Principianti” perche’ voglio leggere Carver ancora ed ancora e trovarlo fisiologicamente meno “minimale”, sazia e soddisfa questa esigenza pur non compromettendo l’asciuttezza nello stile che tutti amiamo.
Il gesto si allarga, il respiro si allunga, alcune conclusioni di racconto beneficiano della maggior profondita’ e la parte finale dedicata alla corrispondenza Carver/Lish e’ una bella e didattica testimonianza.
Ancora una considerazione su Lish: tralasciamo l’etica dell’editor e i giudizi morali ed estetici ma non si puo’ discutere l’operato di un uomo che tanto ha fatto per la letteratura, in prima persona e contribuendo alla nascita e alla diffusione di una miriade di talenti.
Indiscutibile e’ anche la sua capacita’ di cogliere e sviluppare le peculiarita’ dell’autore e nel bene o nel male, migliorando o peggiorando a seconda di come la si pensi ma non ha trasformato Carver in qualcosa d’altro e mi si consenta, un ringraziamento e’ d’obbligo.
Per dirla col finale di “Principianti”,  mettiamo il punto non solo al racconto ma all’intera questione e andiamo oltre.
Sono rimasto alla finestra, in attesa. Sapevo che dovevo star li’ fermo ancora per un po’, continuare a puntare lo sguardo la’ fuori, oltre la casa, fintanto che c’era ancora qualcosa da vedere.

Cattedrale – Raymond Carver (racconto intero)

C’era questo cieco, un vecchio amico di mia moglie, che doveva arrivare per passare la notte da noi. Gli era appena morta la moglie.
E così era andato a trovare i parenti di lei in Connecticut. Aveva chiamato mia moglie da casa loro. Avevano preso accordi. Sarebbe arrivato in treno, un viaggio di cinque ore, e mia moglie sarebbe andata a prenderlo alla stazione. Non l’aveva più visto da quando aveva lavorato per lui un’estate a Seattle, dieci anni prima.
Comunque, lei e il cieco si erano tenuti in contatto. Registravano dei nastri e se li spedivano per posta avanti e indietro. Non è che fossi entusiasta di questa visita. Era un tizio che non conoscevo affatto.
E il fatto che fosse cieco mi dava un po’ di fastidio. L’idea che avevo della cecità me l’ero fatta al cinema.
Nei film i ciechi si muovono lentamente e non ridono mai. A volte sono accompagnati dai cani-guida. Insomma, avere un cieco per casa non è che fosse proprio il primo dei miei pensieri.
Quell’estate a Seattle lei aveva bisogno di un lavoro. Non aveva un soldo. L’uomo che avrebbe sposato alla fine dell’anno frequentava un corso per ufficiali. Non aveva un soldo neanche lui.
Ma lei era innamorata di questo tizio e lui era innamorato di lei, eccetera eccetera. Insomma, lei aveva visto un annuncio sul giornale – CERCASI LETTORE PER CIECO – e un numero di telefono. Aveva chiamato, era andata per un colloquio ed era stata assunta su due  piedi. Per tutta l’estate aveva lavorato con questo cieco.
Gli leggeva della roba, relazioni, rapporti, cose del genere. Lo aiutava a mandare avanti il suo ufficetto nel dipartimento assistenza sociale della contea. Erano diventati buoni amici, mia moglie e il cieco.
Come faccio a sapere queste cose? Me le ha dette lei. E mi ha anche detto un’altra cosa. L’ultimo giorno di lavoro, il cieco le aveva chiesto se poteva toccarle il viso. Lei gli aveva detto di sì. Mi ha raccontato che lui l’aveva sfiorata con le dita dappertutto: il viso, il naso… perfino il collo! Lei non se l’era più scordato.
Aveva addirittura cercato di scriverci su una poesia. Era sempre lì a cercare di scrivere una poesia, lei.
Ne scriveva una o due all’anno, di solito subito dopo che le era successo qualcosa di molto importante.
Quando abbiamo cominciato a uscire insieme, me l’ha fatta leggere, quella poesia. Rievocava le dita di lui e il modo in cui s’erano mosse sul suo viso. Nella poesia, parlava delle sensazioni che aveva provato all’epoca, di quello che le passava per la testa mentre il cieco le toccava il naso e le labbra.
Ricordo che non è che mi piacesse molto, quella poesia. Naturalmente, non glielo dissi mica.

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Cattedrale – Raymond Carver

CattedraleHo una biro rossa, anzi rosa con la quale scrivo, segno, sottolineo i libri che leggo, qualcosa che dovrei ricordare, qualcosa che voglio comunicare.
Un domani quando non ci saro’ piu’, i miei libri non varranno nulla nemmeno come dono, scarabocchiati come sono, sporchi di tante idee che non interessano a nessuno al di fuori di me.
Con Carver no, non c’e’ nulla da segnare, nulla da ricordare perche’ la sua scrittura e’ fatta di infiniti parziali che non servono alcunche’ oltre il totale d’insieme cosi’ come un gioiello in una stanza, carico di milioni d’anni di storia e vicende umane che l’hanno raccolto e forgiato, in fondo e’ solo un gioiello chiuso in una stanza.
Semmai i racconti di Carver fanno sentire meglio, a tratti persino migliori, non diversi attenzione bene ma migliori.
Storie di fantasia o no, che importa, c’e’ troppa gente li’ fuori perche’ non possano essere vere e ci sente meno soli, piu’ simili a qualche sconosciuto che capisce benissimo cio’ che accade dentro, fuori, tutt’attorno, molto lontano o vicinissimo.
La realta’ e’ che non e’ un mondo spaventoso, e’ solo un po’ piu’ triste di come lo vorremmo e comunque resta il migliore dei mondi possibili.
Non me la sento di parlare dei racconti, l’hanno fatto mille altri e come certe esperienze che vanno vissute in prima persona, serve farseli scivolare dentro e non e’ necessario che piacciano perche’ sono come l’atmosfera, buona o cattiva che sia, se ne ha bisogno per vivere e possiamo cercare aria piu’ pura, mai se sia possibile non respirare.
Carver va oltre le valutazioni perche’ le sue sono zoomate esistenziali, finestre di vita delle quali siamo testimoni come novelli dèi che tutto possono sulla vita degli uomini e giudicare e’ inutile, osservare e’ tutto, condividere e’ possibile, sentire e’ auspicabile, farne parte praticamente obbligatorio.
Parlero’ di minimalismo, di stile, di genere e buttiamoci nell’ordinario analizzando, spezzettando a piccoli morsi ed esaltiamoci nei paralleli fatti di citazioni, rimandi e suggestioni che si riflettono in perle di vetro e ci sara’ tempo per le considerazioni e le frasi d’effetto, per analisi algide e perfette ma ora mi sento stupendamente imperfetto, zoppicante e magnificamente vuoto di parole e d’improvviso la soluzione sembra essere solo questa.