Ley Lines – Takashi Miike

Ley linesTerzo della trilogia fittizia "Black Society Trilogy", ennesimo nella carriera di Miike costellata da yakuza e delinquenti di vario tipo ed estrazione.
Ancora una storia raccontata dai bordi della societa’, tre ragazzi di origine cinese che cercano di fuggire dal degrado passando pero’ dalla porta sbagliata, quella del crimine. L’incontro anzi l’alleanza con una prostituta, cambiera’ le cose e non necessariamente in meglio.
Miike alla fine degli anni ’90, esalta le tematiche a lui care, divenendo narratore di gente rassegnata, di luoghi sporchi e umidi, dove nulla riscatta se non i soldi e la violenza sul prossimo, unica forma di rivalsa sociale. Come sempre accade nei suoi film, non esistono vincitori e vinti ma infinite declinazioni di sconfitta dalle quali talvolta viene estratto un fortunato vincitore che per strane ragioni ne esce vivo.
Forse e’ proprio la condanna ad un destino che si presume gia’ segnato a non spingere a migliorare e a cercare una strada diversa dalla violenza e dalla perdizione. Miike non si preoccupa di tracciare ellissi o vergare morali, egli semplicemente ritrae senza commentare, sempre che non farlo non sia di per se’ un commento.
Del resto i suoi protagonisti il degrado lo hanno dentro, nessuna possibilita’ di redenzione per loro perche’ la sconfitta e’ nella pelle, non nella citta’ che li circonda e il passo dalla piccola criminalita’ all’omicidio, e’ lungo quanto una canna di pistola che non esiteranno usare per fuggire, l’impossibile fuga da una violenza insita in loro.
Forse per questa ragione Miike non perdona e concede il solo fato a loro possibile.
Miike rassegnato ed bravo pure in quello.

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