Love exposure – Sono Shion

Love exposureI giapponesi sono pazzi, i registi giapponesi sono ancora piu’ pazzi e Sono Shion merita in ognuna di queste categorie, un posto di rilievo.
Questa volta si cimenta in quattro ore vendute per vere, storia di Yu, bambino ben presto orfano di madre e col padre che trova una nuova ragione di vita nel sacerdozio. Tutto procede per il meglio fintanto che una mezza pazza fa perdere la testa al padre che si trasforma cosi’ da pastore compassionevole a integralista psicotico e nella convinzione che il figlio pecchi, lo induce a peccare davvero.
Curioso a dirsi ma causa questo, Yu diviene adepto prima e maestro poi nell’arte delle foto intime rubate ad ignare ragazze che passeggiano in strada.
Fin qua la trama e’ semplice, poi arrivano tre deviate di una setta religiosa, la figlia per cosi’ dire adottata dalla pazza di prima, il ragazzo che si traveste da donna ma non e’ un travestito, slinguate lesbiche tra due che lesbiche non sono e cosi via in crescendo talmente assurdo che pare piu’ un’associazione d’idee piuttosto che uno script strutturato a monte e si potrebbe  anche crederlo non conoscendo lo stile di Sono.
C’e’ un gran divertimento nell’uso blasfemo di simboli e riti cattolici ma ci sta anche questo, del resto la Santa Romana Chiesa non ti sgozza moglie e figli o non ti fa esplodere i parenti alle feste comandate se la offendi e poi stiamo parlando di Sono, uno che solletica la provocazione riempiendo di grottesco i canoni della morale, ogni morale.
D’altro canto se una pellicola siffatta esordisce dichiarandosi ispirata ad una storia vera, la virata umoristica non e’ solo giocata a carte scoperte ma rilanciata negli occhi dello spettatore che puo’ godersi cosi’  un’opera che porta la fantasia al potere anzi, al potere ci mette direttamente lo sfotto’.
Gran bel finale che riequilibra la trama quando pareva eccessivamente sbilanciata e restituisce senso e dignita’ anche laddove certe scelte sembravano soltanto funzionali al bell’effetto.
Amante della classica, Sono riscopre la Settima di Beethoven come solo Boorman l’aveva fatta ascoltare e malgrado la durata piu’ che raddoppiata rispetto un film comune, si resta con la voglia di vederne ancora.
Gran bell’opera, avercene anche qua…

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Carosello del varieta’ – Aldo Bonaldi, Aldo Quinti

Carosello del varieta'Come si fa a non sorridere con dei giovanotti molto annoiati per la serata che li aspetta a base di immagini di vecchi cantanti ed attori dei tempi dei loro genitori.
Cosa c’e’ di strano? Che i tempi non cambiano per una situazione che potrebbe essere di oggi mentre il film e’ del 1955 e sullo schermo passano vecchie glorie del varietà, nomi alcuni dei quali si serba ancora un saldo ricordo come Petrolini, Macario, Rascel e Toto’, altre le dive, in alcuni casi nella leggenda come la Baker, la Osiris o Anna Magnani che non fa ridere neppure qui.
Film compilation da cinema di provincia, prodotto per nostalgici "dalle tempie imbiancate" come fanno notare con grazia, a suo tempo un’occasione per i piu’ giovani di vedere o rivedere miti dell’infanzia a volte ricordati dai piu’ anziani come eroi epici, altri per farsi una risata senza tempo.
Non si pensi che per noi abitanti del nuovo millennio non possa essere interessante anzi, trascorsi oltre 100 anni dal primo video, un tizio che con la bici supera e non di misura il perdente Brumotti odierno, e’ un ripercorre non tanto la nostra storia quanto un mondo ormai dimenticato nelle fondamenta.
Musiche e danze appartenenti piu’ ad una dimensione leggendaria che ad un recente passato per quanto sia sorprendente accorgersi di quanto poco sia stato inventato nell’ultimo mezzo secolo di spettacoli e come certi numeri potrebbero essere il momento di punta nel mosciume di uno Zelig qualunque.
Poi si sa, nel flusso e riflusso della storia, certi spettacoli sono talmente vecchi che oggi appaiono nuovissimi, persino innovatori in non poche loro parti.
E’ un mondo che cambia il nostro ma molto meno velocemente di quanto ci piace credere.

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Simple Minds – Modena 26-07-2012

Simple Minds - 26-07-2012-02Quanta nostalgia serve per andare a rivedere i Simple Minds? Poca se li si considera non fugace bandiera di un periodo storico ma campioni della cosiddetta "New Wave", genere che ancora oggi resiste nel tempo e nella memoria non soltanto tra coloro che possono ricordarlo.
D’altro canto dovessi scegliere cinque canzoni rappresentative di quell’epoca e di quella musica, "New Gold Dream" sarebbe in scaletta con la dolorosa esclusione di altri loro pezzi altrettanto celebri ed importanti.
Non si sente l’odore dolciastro da frutto appassito che certe operazioni si portano dietro per quanto vi sia indubbia nostalgia in Jim Kerr e soci oggi seppur in attivita’ e con gli ultimi lavori ai quali non manca ispirazione.
I Simple Minds superano la New Wave perche’ prima di "New Gold Dream" e "Sparkle in the rain", ci sono altri album, il primo "Life in a day" e’ datato 1979, che brillano di un carattere indipendente eppure non iconoclasta, postpunk, pop elettronico, accenni darkeggianti, a tratti industrial, nell’evoluzione di suoni che senza strizzare l’occhio al mercato, risentivano pesantemente dello Zeitgeist dell’epoca. A questo periodo appartengono i lavori forse non i piu’ entusiasmanti ma certo molto interessanti anzi sempre piu’ importanti man mano che il tempo crea distanza allargando la visuale.
Ecco quindi che l’idea di riproporre cinque brani per ognuno dei primi cinque album, non e’ un semplice cavalcare l’onda dei ricordi ma riportare sotto i riflettori stile e storia di una band e del suo tempo.
E’ una scelta volendo azzardata perche’ i primi quattro LP sono ai piu’ sconosciuti ma nondimeno apprezzabile per poterli riascoltare e valorizzare come meritano. In realta’ Kerr e soci si sono ripetutamente avventurati fin dentro a "Once upon a time", per piacere dei fan e della loro storia che li vede grandi protagonisti sino a questo album, vero giro di boa della loro carriera, certo e’ che il fascino maggiore deriva proprio dai brani piu’ datati e meno ascoltati.
Line-up per quanto possibile storica con Kerr voce e Burchill chitarra sempre presenti, Gaynor alla batteria quasi un membro originale, con in aggiunta l’ottimo Ged Grimes al basso che non fa rimpiangere troppo il co-fondatore Forbes e Andy Gillespie tastiere, all’altezza del compito.
Kerr e’ come sempre istrionico, forse un tantinello piacione ma ci sta. L’impianto sonoro regge e si distingue malgrado l’attraversamento di stili che nei primi sei anni della loro carriera spaziano su un fronte piuttosto ampio. L’impressione comunque e’ che dietro allo show ci sia una grande preparazione tecnica e molte prove che lasciano poco al caso oltre alla voce di Kerr sempre all’altezza nel suo modo di reinterpretare i brani col mestiere e con estro.
A margine della musica vorrei evidenziare un bell’impianto luci, ben gestito e d’effetto. In generale si legge in gran professionismo dietro un tour che evidentemente ha interesse a lasciare un buon ricordo oltre al raggranellare qualche soldo in attesa dell’album nuovo previsto per il 2013.
Nostalgia quindi? No, non solo. Un’occasione di rivedere ma ancora meglio la possibilita’ di ascoltare un grande gruppo e un periodo musicale che potremmo iniziare a chiamare anch’esso grande.

Video su YouTube – Playlist Simple Minds Live Modena 26-07-2012
Simple Minds Official Site
Simple Minds Tour 2012 (Wikipedia EN)

(Petrolineide), (Antologia di) Petrolini – Ettore Petrolini

PetroliniFilm postumo del 1938, Petrolini mori’ nel 1936, che restituisce al cinema o almeno tenta di farlo, parte dell’arte e personalita’ del grande attore scomparso.
Opera cinematografica che in realta’ riporta Petrolini sulle scene teatrali, suo habitat naturale, dal quale e’ impossibile prescindere la carriera e l’uomo dietro l’attore perche’ Petrolini era animale da palcoscenico e del palcoscenico aveva il corpo, la peculiare fisionomia, l’estensione e la potenza vocale. Ovviamente all’uomo di spettacolo non manca l’estro e come altro poteva iniziare lui estroso, un simbolo della romanita’ se non con Pulcinella? La stranezza si scioglie nella simpatia della messinscena ma l’interprete non manca di spiegare che la maschera non gli appartiene nel repertorio cosi’ come nelle corde ma il suo e’ amore, amore per la commedia dell’arte e attraverso questa che va considerata la sua carriera, le scelte artistiche talvolta semplici ma mai semplicistiche.
"Non nego che qualche volta modero e nello stesso tempo redarguisco me e il pubblico con lo snocciolargli: ‘Piu’ stupido di cosi’ si muore…’ " cosi’ scriveva Petrolini e basta a definire il merito di un artista capace di grandi altezze rivoluzionando l’arte dal basso se cosi’ si vuol dire, specchiandola nelle deformanti fauci dei critici nonche’ anche a quel tempo intellettuali, che al contrario mai hanno saputo leggere negli umori delle persone.
Il film, troppo corto per essere esaustivo, lascia a malapena il retrogusto della grandezza dell’attore e sceneggiatore con l’assaggio del celeberrimo "Gastone", nella maschera fenomenale de "Il medico per forza", con l’iperbolico "Fortunello" e infine non poteva mancare "Nerone" diretto da Blasetti ed e’ l’apoteosi di un artista forte e libero, riuscendo d’essere piuma e ferro ma soprattutto restando sempre al di sopra di tutti, anche della propria icona.

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Gastone (atto secondo, primo quadro) – Ettore Petrolini

Gastone, artista cinematografico, fotogenico al cento per cento, numero di centro del «variété», «danseur», «diseur», frequentatore dei «bal-tabarins» dei «cabarets», conquistatore di donne a getto continuo, uomo incredibilmente stanco di tutto, uomo che emana fascino. (Canta:)

Gastone, son del cinema il padrone,
Gastone,
Gastone.
Gastone, ho le donne a profusione
e ne faccio collezione,
Gastone,
Gastone.
Sono sempre ricercato
per la filme più bislacche,
perché sono ben calzato,
perché porto bene il fracche.
Con la riga al pantalone…
Gastone,
Gastone.
Tante mi ripeton: sei elegante!
Bello, non ho niente nel cervello!
Raro, io mi faccio pagar caro:
specialmente alla pensione,
Gastone,
Gastone.

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Bravo! Grazie!! – Ettore Petrolini

Bravo GrazieE’ curioso parlare di un personaggio appartenuto al mondo dello spettacolo e scomparso quasi 80 anni fa, curioso perche’ nel veloce esaurirsi dei miti moderni, il solo ricordo di un nome di quell’epoca e’ gia’ un evento.
Ettore Petrolini giunge fino a noi anche grazie al recupero di altri artisti che hanno riportato sulle scene il suo repertorio, come ad esempio Gigi Proietti che dalla fine degli anni ’70 sino ad oggi, reinterpreta molti dei suoi testi e proprio parlando di testi, ci si accorge di quanto sia sterminato il suo lavoro teatrale.
Sara’ che pensando a Petrolini si ritorna inevitabilmente a Gastone o Nerone, maschere uscite da tempo dal suo repertorio per approdare nel tessuto del ricordo collettivo ma in realta’ la sua produzione si spinse ben oltre queste icone.
Il libretto in questione si compone di brevi riproposizioni di alcuni testi, tra i quali Gastone appunto e qui integrale oltre a piccoli sketch, battute ed altre rappresentazioni ad atto unico.
Letto oggi, Petrolini si rivela un assoluto innovatore, un precursore con infiniti epigoni cinematografici e teatrali e come non riconoscere nella sua romanita’ un modo di fare spettacolo giunto sino a noi attraverso i suoi interpreti migliori, Sordi per primo ovviamente ma anche nei ricordi felliniani di una capitale che sapeva tirare gatti morti agli attori… cani ma nondimeno e’ impossibile non vedere nelle smorfie del suo volto il piu’ classico Toto’, cosi’ come da Rascel a Macario passando per Giorgio Bracardi, hanno indossato le sue vesti surrealiste..
E’ curioso comunque tornare ad un umorismo tanto diverso dall’attuale e ci mancherebbe altro con quasi un secolo sul groppone, battute talvolta innocenti altre grevi, persino volgari sotto certi punti di vista ma indubbiamente segno di tempi che cambiano e valori che si capovolgono. Divertente comunque, quello sempre, meritevole di una fama ancora piu’ importante che travalichi il misero settarismo culturale di chi bolla come "male" ogni espressione artistica nata negli anni del ventennio, pur non facendone parte. A questo proposito mi domando perche’ far scrivere una prefazione a Vincenzo Cerami che fortunatamente, per Petrolini s’intende, nulla ha a che spartire evidenziando semmai il divario umano e culturale tra i due e in generale tracciando la distanza con quelli che a Cerami fanno tanto ridere.
"Nerone: E’ piaciuta questa parola… pria… Il popolo quando sente parole difficili si affeziona.
Ora lo ridico… Piu’ bella e superba che pria.
Voce: Bravo!
Nerone: Grazie!
"

Lettere di San Paolo. Prima lettera ai Corinzi: capitolo XIII

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia.
Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.
Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

Stupidario della sinistra – Fausto Gianfranceschi

Stupidario della sinistraIl vero problema della cultura in Italia e’ che una parte di questa si ritiene migliore dell’altra o per dirla alla Orwell, "tutti sono uguali ma qualcuno e’ piu’ uguale degli altri". Gianfranceschi non ce l’ha con nessuno in particolare e il suo vuole essere uno sguardo divertito sul delirio di onnipotenza di coloro che si ergono a detentori indiscussi della Verita’, ovviamente con l’aiuto di un intorno fatto di uomini e omuncoli che alimentano un fuoco incapace di scaldare, solo bruciare.
Similmente all’indicare il re nudo quando e’ realmente e ridicolmente nudo, ognuno e’ libero di girare lo sguardo dove vuole e crogiolarsi nelle proprie convinzioni perche’ s’intende che ad occhi chiusi, tutto e’ possibile.
Libro scritto nel 1992, quindi con le rovine del Muro ancora fumanti e col regime comunista disintegrato, laddove anche l’ultimo dei topi scappava dalla propria comoda tana ed era un gioco da ragazzi impallinare marxisti e maoisti della prima ora dal momento in cui se ne uscivano fischiettando come nulla fosse.
Non si pensi pero’ che si tratti di mera sogghignante vendetta al passaggio del cadavere del proprio nemico, tutt’altro. Se il libro ha un obiettivo, e’ far notare che la fesseria, come l’arguzia, non siano proprieta’ esclusiva di una parte a scapito o a favore dell’altra e la piu’ disarmante sciocchezza alla stessa stregua della cantonata piu’ grossolana, provengono da pulpiti inesistenti e immeritati.
Si vuole insomma ricreare un equilibrio di giustizia ed onesta’ intellettuale basato su un merito che forse non tutti possono comprendere ma chi e’ in grado di farlo, sara’ certo qualcuno con cui merita iniziare un dialogo finalmente serio e sensato. Tolto poi l’orrore di certe affermazioni, trovo persino divertente leggere le arrampicate sugli specchi della storia di chi a tutti costi difende Mao, Ho Chi Minh o Stalin, gente per i quali si contano i morti a decine di milioni, c’e’ chi difende terroristi assassini o chi come Petri e Sciascia, sperano in qualcuno che "faccia definitivamente i conti" con Moro o come la Rossanda che auspica l’arrivo di chi "fermi" Dalla Chiesa, magari chi come Siciliano si commuove ripensando ai ragazzini coi quali "giocava" Pasolini oppure al contrario gli inneggiamenti fascisti di Scalfari. Sempre Pasolini dalla curiosa tesi che Palach fosse un partigiano comunista, Moravia che nel ’68 era anche lui uno sfruttato, Levi dell’idea che in realta’ a Praga la protesta fosse fomentata dagli USA, la Iotti che pensa che il fumetto sia fascista, Dario Fo che vuole sparare a chi vota destra e a chi va a teatro per vedere Pirandello e Bocca che crede che le Brigate Rose siano un’invenzione della stampa nemica.
Ci vorrebbero poi altri dieci post per citare le dotte argomentazioni per cui il fine secolo avrebbe visto l’intero globo terracqueo dominato da falce e martello ma attenzione, tutti intellettuali con solidissime argomentazioni, s’intende.
Esilarante, dico sul serio perche’ oggi possiamo finalmente permetterci di riderci su, magari aspettando qualche decina d’anni per farci altre risate con le "grandi verita’"  che la stessa gente o i loro amichetti, ancora raccontano.

"Montanelli io lo trovo invece noioso: gli trovo la nuca fascista, la forma della testa anche, l’occhio fascista a palla quando si arrabbia."
Camilla Cederna (scrittrice, donna di cultura)

Max Payne – John Moore

Max PayneAi nostalgici con qualche anno di troppo non serve ricordare che Max Payne fu un videogioco sul quale abbiamo perso il sonno in molti. Prima venne il "bullet time" che Matrix ci aveva sparato nel cervello, poi la grafica per i tempi spettacolare, infine la trama che gia’ dalle prime sequenze anticipava uno script cinematografico al posto del solito massacro insensato. Mischiando fumetto e animazione scriptata, il gioco era una full immersion all’interno di un soggetto tutt’altro che banale, coi suoi colpi di scena, un montaggio niente male e un’anima a ben definire i personaggi in una tridimensionalita’ etica ben piu’ in rilievo di quella grafica.
In ordine piu’ o meno sparso il film ricalca le orme del soggetto del gioco attraverso il leitmotiv della famiglia massacrata all’agente Payne il quale si mettera’ contro spacciatori, mafia, multinazionali e finanche la polizia pur di portare a termine le sue indagini o ottenere giustizia per moglie e figlio uccisi.
Se non ricordo male, il film fece un bel tonfo e francamente non ne comprendo fino in fondo le ragioni.
Con l’occhio del giocatore, il volteggiare dei fiocchi di neve per i vicoli sudici mi desta emozione ma ugualmente lo trovo un discreto prodotto anche senza avere in mente il videogioco. C’e’ da ammettere che Mark Wahlberg non sia il giusto protagonista perche’ manca di sufficiente tamarraggine ma e’ un bravissimo attore e qui come altrove, compensa ampiamente il casting infelice. Moore non mi delude e gli sono grato per come l’approccio visivo ricalchi il gioco per quanto certi particolari non siano stati curati quanto basta come ad esempio l’esatta planimetria della casa di Max, particolare fondamentale per i cultori del personaggio oppure l’uso del "bullet time" che anche senza scimmiottare Matrix, doveva essere usato meglio e piu’ di frequente.
A me e’ piaciuto e ha fatto tornare voglia di giocarci, magari terminando quella parte 2 che da anni attende di essere finita…

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World Invasion (Battle: Los Angeles) – Jonathan Liebesman

Battle Los AngelesL’invasione aliena nell’epoca dell’informazione in tempo reale, s’amplifica nell’incapacita’ dell’individuo di distinguere la realta’ dalla finzione, nel confondere la bidimensionalita’ delle storie televisive laddove e’ talvolta impossibile valutare dove finisca la tragedia ed inizi il sensazionalismo. Non essendo mai stati invasi ne’ attaccati sul loro territorio, salvo alcune tragiche eccezioni, gli americani hanno piu’ volte manifestato un sottile e perverso piacere nel riprendersi conquistati e smarriti, vedere le loro pacifiche strade invase da qualcosa o qualcuno che sappia turbare per sempre la vita dei cordiali cittadini.
Questo e’ il soggetto del film, dove senza se senza ma, una razza aliena decide che e’ giunto il momento di colonizzare la Terra e non un avviso, un messaggio o un accenno di discussione prima della distruzione.
A quel punto l’unica speranza di salvezza viene dall’esercito, per l’esattezza da un manipolo ardimentoso in missione di salvataggio di civili, scoprire come sconfiggere i mostri dallo spazio e uscirne nel contempo vivi.
Togliendo un’infinita’ di buchi ma che diamine, siamo qui per divertirci, questi film mi piacciono, fosse solo perche’ finalmente si recupera un po’ di onore per i gloriosi Marines che nell’idiozia buonista di stampo maoista che nel rigurgito antimperialista di questi anni (presidente Nobel per la pace escluso, of course) perdono consensi se non nelle occasioni nelle quali e’ difficile anche per l’ultimo imbecille dotato di una qualsivoglia bandierina, prendere posizione contro. Scommetto che cercando potrei trovare anche chi difende alieni con l’intenzione di un genocidio a livello planetario ma cio’ non toglie che almeno qui i soldati possono finalmente far fuori gli invasori senza dover fare i conti con folli regole d’ingaggio o boiate simili. Del resto volendo, si puo’ considerare il film la versione non patetica del lagnoso "Independece day" di Emmerich, il piu’ invertebrato dei registi statunitensi.
Fotorealismo totale, buon ritmo e poi diciamocelo, sparare a un po’ di roba strana, e’ sempre un sano divertimento per grandi e piccini, un bel ritorno ai cari valori di una volta dei quali si sente tanto la mancanza.

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