Un perdente di successo – Giorgio Albertazzi

Un perdente di successoDi tutte le possibili declinazioni che l’idiozia umana puo’ assumere, quella che comprendo meno e piu’ compatisco riguarda il rifiuto dell’arte da parte di coloro dei quali non si condivide il pensiero. Trovo incredibile, inaccettabile l’idea che a qualcuno non piaccia una canzone, un quadro o un libro se non si condividono le idee dell’artista e badate bene, di imbecilli cosi’ ce ne sono tanti. Qualcuno di questi ha tirato fuori il naso dal liquame nel quale macera, in occasione della morte di Giorgio Albertazzi ed e’ chiaro non per esprimere un cordoglio dovuto a chi non c’e’ piu’, non per spiegare le ragioni per le quali secondo loro fu un pessimo attore ma per festeggiare la morte di un fascista. Questa e’ l’unica motivazione che il loro cervello (?) ha saputo formulare e basti vedere quelle cloaca di Wikipedia cosa tra tutto puntualizza. Invece alla sua scomparsa ho affrettato la lettura dell’autobiografia che avevo gia’ da tempo essendo un ammiratore di Albertazzi di vecchia data e che in tempi diversi avrei comunque recuperato.
Albertazzi lo premette: odia la parola scritta perche’ non ha espressione e lui di espressione ci vive, percio’ aggiunge, ce la mettera’ nel corso della narrazione. Devo dire, abbastanza sorprendentemente per non essere uno scrittore di professione, riesce benissimo nel suo intento per un testo alquanto singolare nel suo genere. L’autobiografia puo’ essere piu’ o meno interessante, il senso dell’intimo e del personale spesso lo si evince dagli aneddoti curiosi e inediti ma oltre questo Albertazzi imprime un pathos particolare, attraverso una narrazione lineare fino ad un certo punto e ad un enfasi molto teatrale appunto nocnhe’  figlia di una sagacia tutta toscana, sua terra d’origine. Percio’ egli alterna i ricordi piu’ lontani e via via sempre piu’ approssimati al presente, con parantesi anche lunghe sul suo presente. Il libro e’ del 1988, vi sono ricordi sparsi nel tempo, ritratti di persone, considerazioni letterarie e teatrali. La toscanita’ appunto e’ cio’ che lo contraddistingue, nello spirito e nella cultura e leggerlo e’ un piacere che va oltre la conoscenza della biografia di un grande interprete del teatro italiano. Tanto, tantissimo spazio e’ dedicato alla sua infanzia e alla sua giovinezza con pagine  pagine del ricordo della guerra, le sue ragioni e i fatti come lui li ha vissuti. Il teatro arrivo’ quasi per caso ma in realta’ era un seme che gli cresceva dentro da sempre e il successo giunse velocissimo, grazie anche a quella scuola toscana che vedeva protagonisti due nomi su tutti, Visconti e Zeffirelli. Il grande successo si confermo’ quando approdo’ in televisione, una televisione che in prima serata proponeva Dostoevskij. Poi venne il cinema col trionfo dell’incredibile "L’anno scorso a Marienbad" di Resnais, poi pero’ una serie di scelte sbagliate lasciarono ad altri il predominio del grande schermo, pensiamo al suo "nemico" Gassman, altro gigante che pero’, restando nelle altre biografie, non seppe esprimersi con la stessa verve dell’attore toscano. C’e’ da dire che delle 300 pagine fitte del libro, 250 arrivano ai primi anni ’60 tra storia di palchi e di donne soprattutto, tante, bellissime, sino alla sua ultima moglie, un amore nato proprio negli anni del libro e conclusosi alla sua morte, malgradi i 36 anni che li dividevano.
Albertazzi e’ sincero, talvolta al limite dell’imbarazzo, per chi legge s’intende ma lo si riconosce, sempre e lo si apprezza ancora di piu’. Il libro e’ un bel modo per ricordarlo, peccato che per gli illuminati editori nostrani, un emblema del teatro italiano non abbia meritato una ristampa ma la prima edizione si trova abbastanza facilmente a prezzi accessibili.
Per la cronaca, Albertazzi per l’accusa di aver fucilato un partigiano (c’era la guerra ma sappiamo come funziona l’arroganza dei vincitori) fece due anni di galera poi fu assolto per non aver commesso il fatto. Sempre per la cronaca, il "partigiano" prima di essere fucilato grido’ "viva Mussolini". Cosi’, giusto per ribadire l’ignoranza di certi mentecatti, sempre quelli, sempre della stessa parte…

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