Qui parla Mosca – Julij Markovic Daniel’ (Nikolaj Arzak)

Qui parla Mosca - DanielPer Tolija il protagonista, il 10 Agosto 1960 poteva essere una data come le altre, fintanto che la radio nazionale sovietica, non proclamo’ in tal giorno il diritto al libero omicidio.
Nella totale accettazione che si tramuta in indifferenza, il caos divenne istituzione, l’innaturale natura, l’eccezione la regola ed ogni buon senso fu sovvertito alla logica del potere centrale.
Racconto lungo o romanzo breve, universo distopico in un libro datato 1966 non introvabile ma raro, pubblicato dalla casa editrice Bietti e mai piu’ ristampato.
La storia e’ preceduta da una lunga introduzione con biografia dell’autore, cronaca del suo processo e della sua vicenda umana, esperienza che nel complesso, colpisce duramente per coraggio e coerenza.
Di origine ebraiche, la famiglia di Daniel’ fu decimata dalla barbarie stalinista.
Bambino prodigio, le sue prime traduzioni risalgono all’adolescenza, di animo gentile e portato per la poesia, il ricordo dei soprusi familiari e l’orrore di un regime che non cessava di uccidere anche dopo la fine del suo dittatore, lo condussero ad una battaglia segreta combattuta con le parole e le idee, esportando clandestinamente all’estero i suoi scritti, fino al giorno in cui non venne scoperto e processato.
Insieme a Sinjavskij, amico e compagno nella lotta clandestina, fu condannato per i suoi libri a cinque anni di carcere duro come solo i sovietici intendevano duro il carcere, in breve gulag siberiano.
La finzione vortica con la realta’ e ci fu a suo tempo, chi confuse il protagonista Tolija con Daniel’ o il suo alter ego letterario Arzak, nel forte e voluto il gioco di specchi tra lo scrittore e il suo personaggio, talmente palese da fondere la storia dell’uno nell’altro.
Autoreferenziale sino al punto di mettere nella testa di Tolija l’idea di far uscire i suoi testi clandestinamente, Daniel’ non lesina bordate al governo centrale definendone i membri "manica di demagoghi e corrotti", nel riflesso di un personaggio di finzione in una societa’ fittizia che diventa reale nei paralleli e nelle similitudini.
Troppo sottile la barriera e Daniel’, una volta scoperto, non pote’ che essere condannato secondo la logica del regime.
Ora sia chiaro, il libro e’ pesante, aggravato anche da una traduzione eccessivamente letterale, o almeno questa e’ l’impressione ma resta il fatto che il testo e’ denso e asciutto, forse non eccelso e il suo valore e’ insito nella vicenda umana piu’ che in quella letteraria.
Cio’ non toglie che a queste latitudini, nel conclamato nuovo millennio, con una miriade di anime belle a sbraitare invano sulla liberta’ di stampa, pasciuti e ben rimunerati sul pulpito di un talk show nazionale in prima serata, servirebbe rispetto alla memoria di coloro che questa liberta’ non l’hanno avuta per davvero, pagando di tasca loro una guerra che non potevano vincere e non per questo si sono tirati indietro.
Mi disgusta che in una nazione come la nostra nella quale c’e’ sempre qualcuno prodigo nel ricordare, non ci sia nessuno che ridia un’occasione a Julij Markovic Daniel’ in special modo alla luce del suo epilogo esistenziale ed umano che il libro non poteva raccontare perche’ a quel tempo non ancora avvenuto.
Si perche’ egli usci’ dal carcere piegato e distrutto al punto da interrompere ogni attivita’ letteraria, morendo semi sconosciuto, proprio come il regime aveva voluto con lui e moltissimi altri prima di lui.
Resto affranto nel pensiero di un nuovo, tragico Winston Smith di orwelliana memoria e archetipo di tutti i Daniel’, ai quali e’ doveroso tributare almeno in questa occasione un ricordo.
"Li si poteva perdonare? E il trentasette? E la follia post-bellica quando il Paese si dibatteva indemoniato nelle convulsioni del mal caduco e strillava come una prefica, divorando se stesso?
Credono loro che, per aver scavato la fossa a Baffone, abbiano estinto con cio’ ogni loro debito?"

Julij Markovic Daniel’ su Wikipedia

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