Le valigie di Tulse Luper – La storia di Moab – Peter Greenaway

Le valigie di Tulse Luper - La storia di MoabLa vita di un uomo raccontato tramite le sue valigie e detta cosi’ pare una fesseria non ci fosse Peter Greenaway al timone.
Egli piu’ che raccontare una storia, delinea una specie di mitologia, una narrazione dei posteri che affascinati dal personaggio ne ricostruiscono le gesta scovando connessioni, legami, coincidenze, risolvendo misteri e tessendo la trama di una vita che odora d’avventura.
Struttura filologica non sequenziale se non in un tracciato generale costruito su richiami e proiezioni, si narra della vita di Tulse sin dalla sua infanzia, diramandosi nel tempo e nello spazio attraverso i viaggi e i luoghi visitati dal protagonista. Novantadue e’ il numero magico, numero atomico dell’uranio e numero delle valigie attraverso le quali veniamo a conoscenza delle sue gesta, indizi mai casuali da vedersi in un quadro molto piu’ ampio che trascende il personaggio, pretendendo di narrare con esso la storia dell’Uomo.
Pretenzioso, non c’e’ che dire, troppo anche per il geniale regista inglese che udite, udite, non conclude la saga con questo film ma ne abbisogna di almeno altri due.
Greenaway rende la visione quasi interattiva, lo schermo diviene una lavagna multimediale nella quale gli hyperlink s’aprono alla velocita’ dell’occhio, anzi molto di piu’ dal momento in cui e’ impossibile cogliere ogni particolare anche dopo innumerevoli visioni. Ecco, il limite di questo Greenaway consiste nell’osservare chesso’, un navigatore informatico che non viaggia alla tua velocita’ e non si concentra su cio’ che vorresti approfondire tu, privilegiando magari qualcosa del quale non potrebbe fregare di meno. Infatti anche avendo tempo di studiarlo a fondo, e’ forse un film che offre davvero tanto interesse da perderci dentro ore e giorni della propria vita?
Mi ripeto e lo faro’ ancora: Greenaway e’ pura estetica ma talvolta, qui sicuramente, e’ un viaggiare troppo veloce, come salire in moto e passare per i saloni di un grande museo dove tutto viene percepito senza alcuna assimilazione, senza poter assaporare alcun sapore o godere di alcun aroma.
Escludendo gli ingordi, e’ una pellicola evitabile, sbagliata  dal momento in cui e’  ridicolo che il colpevole del non far godere del cinema di Greenaway sia proprio Greenaway.

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