Dogville – Lars von Trier

DogvilleE arriviamo a "Dogville". Se mi sono allontanato da von Trier e’ in gran parte colpa di questo film, sempre per la solita storia che se piace a troppi critici, allora il film non vale nulla. In realta’, lo scopro ora, c’e’ una ragione per la quale il film piace a me a anche ai tizi di certa cartaccia stampata.
Grace, fuggita ed inseguita da una banda di gangsters, arriva a Dogville, minuscola cittadina statunitense isolata dal resto del mondo quando e siamo negli anni 30, essere isolati significava non avere nessun contatto diretto con altri che non fossero i propri vicini di casa. Una comunita’ in piena regola, laddove vivere gomito a gomito e’ una necessita’ e un dovere per sopravvivere.
Il suo arrivo sara’ ovviamente traumatico e solo l’intervento di Tom, l’intellettuale del paese per cosi’ dire, convincera’ gli abitanti a darle una possibilita’ di convivenza e una speranza di serenita’.
Tutto funziona per il meglio quando lentamente la luce cambia e anche l’ospitalita’ avra’ un prezzo troppo troppo alto per essere accettato.
Dell’impianto scenografico stilizzato si puo’ solo constatare che funziona clamorosamente bene, grazie a von Trier ovviamente, con altri non so e per cio’ che mi riguarda l’operazione di trasformare il cinema in parola stampata e non viceversa come comunemente avviene, e’ di per se’ da manuale.
Di due ore e oltre di film, cio’ che "i soliti" hanno visto si riassume con quattro parole: critica-alla-societa’-borghese.
Vero, verissimo per quanto epoca e ambientazione non favoriscano la netta classificazione tra liberali e conservatori e certo e’ complicato definirsi borghesi se il bene della tua famiglia e’ legato al raccolto stagionale ma diciamo pure che lavorare per vivere e avere una casa o anche solo un garage, e’ per qualcuno una colpa sufficiente.
Ad ogni modo von Trier non salva nessuno. Non salva il medico in pensione, non salva la vedova fissata, non salva la madre che educa i figli col metodo Montessori ante litteram. Non salva l’handicappato cieco che non vede ma tocca benissimo, non salva il minus habens, non salva l’ex schiava negra piu’ schiavista di tutti gli altri.
Non si salva il bracciante, il trasportatore e la ragazza che per il proprio futuro vuole solo piu’ piacere ma soprattutto non si salva l’intellettuale, il vuoto e inutile parolaio pronto a tradire e a tradirsi per compiacere chi gli passa l’osso e in fondo, come tutti, prima del cervello ci mette altro, un po’ piu’ giu’.
Nessuna categoria, nessun ceto sociale, non c’e’ cultura o mestiere, menomazione o salute, ognuno e’ colpevole e gli USA sono solo un pretesto per raccontare l’Occidente nella sua forma piu’ palese.
Lei Grace, la Grazia, il senso del puro e del divino, puo’ solo sopravvivere sotto i colpi di una umanita’ che nei millenni non si e’ evoluta di un passo, solo vestita meglio e in questo la critica non e’ alla borghesia, la critica e’  all’umanita’,  tutti noi, nessuno escluso. La ricetta di von Trier e’ piu’ che condivisibile, dovrebbe far parte delle costituzioni di mezza Europa, nella nostra certamente.
Degli attori non dico nulla, il testo e’ piu’ grande di loro e vive con o senza la seppur pregevole presenza.
In virtu’ di questo posso dire bravi ma non importa.
Centro pieno per von Trier, il merito e’ tutto suo, un piacere a 360 gradi.

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