Kronos Quartet – Bologna 19-11-2016

Kronos QuartetAnno piu’, anno meno, quelli trascorsi da quando ascoltai la prima volta i Kronos Quartet sono ormai una trentina. Devo l’incontro a Philip Glass e ben presto mi appassionai alle tante collaborazioni che ebbero coi minimalisti statunitensi, Riley, Reich in particolare poi via via di album in album, lavori molto, molto diversi che non si sono mai fermati innanzi ad alcun compositore o genere.
Il loro stile e’ unico, il modo con cui affrontano arrangiamenti piuttosto che colonne sonore o concerti scritti appositamente, li distingue tra mille altri. Da tempo hanno cessato di essere semplici esecutori, passando ad essere causa, non effetto della musica, come grandi attori attorno ai quali un film viene costruito. Mai avuto occasione di ascoltarli dal vivo, percio’ approfitto del concerto a Bologna con grande gioia. Certo, gia’ dalla pagina dedicata ai concerti del loro sito, trovo in anticipo il programma della serata e non e’ esaltante, ed e’ qui il nocciolo della questione nonche’ il giudizio su quanto visto. Loro sono musicisti fenomenali, nessun bisogno di conferme o altro per rendersene conto e in particolare Sunny Yang la giovane violoncellista, e’ a dir poco straordinaria. Bastano poche note, l’inizio di "My Desert, My Rose" di Aleksandra Vrebalov per ritrovarli ed emozionarsi, peccato che questo sia il primo e ultimo momento degno di nota di tutta la serata. 
Il programma vuole essere un giro del mondo, una grande giostra popolare dove l’india si affianca alla Cina, l’Iran, l’est Europa, l’Africa e gli Stati Uniti ovviamente, tra country e jazz e finanche il rock degli Who. Nulla di tutto questo mi piace e si, e’ certo un problema mio. Vero pero’ì che cio’ riduce la performance ad un campionario di stili che non sottolinea il loro carattere, anzi li penalizza come quartetto d’archi che in piu’ riprese deve snaturarsi tra percussioni, basi registrate e pizzicati in sostituzione di chitarre e banjo.
Se vogliamo, pure l’emozionate "The Beatitudes" di Vladimir Martynov dalla colonna sonora de "La grande bellezza" e’ in fondo un brano fin troppo banale. Capisco sia una scelta dettata forse dal voler abbracciare un pubblico piu’ vasto, forse spingere su certi lavori e non altri, forse stanchezza non so. Certo e’ che rifiutarsi di proporre qualcosa di piu’ impegnato (e impegnativo) magari da quei trascorsi minimalisti che tanto li resero celebri, lascia un po’ l’amaro in bocca.
Insomma, una delusione anche se una delusione prevista dato il programma noto in partenza. Volevo pero’ vederli e sono felice di averlo fatto, certo e’ che se vi sara’ un prossimo incontro, dovra’ per forza girare su ben altri territori.

Programma della serata