Amorphis, Arch Enemy, Nightwish (Casalecchio, 29-11-2015)

Amorphis live 29-11-2015Oggi il rock sinfonico e’ forse il genere che mi emoziona di piu’. Troppi Deep Purple nella mia mia vita o sara’ che malgrado le apparenze, un concerto di Brahms offre piu’ soprese di un qualunque disco dei Led Zeppellin ma non per questo tradisco le mie origini.
Nonostante l’italia abbia una degnissima rappresentanza, del genere non passa nulla, al contrario nel nord Europa, certi gruppi entrano nelle classifiche musicali nazionalpopolari.
I finlandesi Nightwish sono tra i campioni di un genere e di uno stile che vuole una poderosa e ricercata struttura compositiva sposata all’eroica base vocale tipicamente femminile, assieme ad una indiscutibile tecnica concertistica. Non stiamo qui a raccontare storie e vicissitudini della band, basti pero’ di dire che col recente arrivo della divina Floor Jansen, l’equilibrio e’ perfetto, le potenzialita’ totalmente espresse. Senza tanta accademia ho inseguito questo concerto per anni e d’un tratto me lo sono trovato a Bologna, praticamente dietro casa.
Inaspettatamente e ancora meglio se ad accompagnarli ci sono due band gigantesche come i compaesani Amorphis e i vicini svedesi Arch Enemy:
Arch Enemy live 29-11-2015Varrebbe un lungo post per entrambi i gruppi, mi limitero’ a dire che gli Amorphis avrebbero meritato molto piu’ rispetto da parte dell’organizzazione che ha aperto i cancelli troppo tardi e diffuso orari sbagliati, facendo si che molti perdessero la loro performance e io stesso ho mancato almeno ad una quindicina di minuti. E’ un peccato perche’ le due chitarre sono uno spettacolo e la voce di Joutsen, calda e profonda quando non sputa lame d’acciao, riempie lo spazio con poderosa eleganza. Vere e proprie macchine da guerra, dal vivo sono ancora piu’ granitici che da studio.
Cosa dire poi degli Arch Enemy, formazione storica del death metal nordico che non ha mai rinunciato a una liricita’ di stampo classico e talvolta popolare nel senso nobile del termine. Negli ultimi anni l’abbandono di Chris Amott, uno dei due fratelli fondatori e l’arrivo della cantante Alissa White-Gluz, hanno cambiato molte carte in tavola, a mio avviso senza perdere nulla, anzi guadagnandoci pure qualcosa. Certo dal vivo sono grandiosi, con Alissa che spadroneggia sul palco, una specie di demone furioso di 150 centimetri ma dal growl impressionante almeno quanto la sua presenza scenica. Gruppo spalla e’ riduttivo, sono protagonisti.
Nightwish live 29-11-2015E infine loro, i Nightwish, cosi’ come li abbiamo ascoltati tante volte, da studio e dal vivo perche’ i loro show sono planetari, pirotecnici, un’onda perfetta da cavalcare a fiato sospeso sino al roboante infrangersi sul pubblico in delirio. E delirio lo e’ stato per davvero sin da "Shudder Before the Beautiful" che apre il concerto e il nuovo album "Endless forms most beautiful" per concludersi con l”incredibile ed esaltante "The Greatest Show on Earth", anch’essa a chiudere show e cd, sospesa tra la conquista di Mordor, il teatro di Weill, Broadway e una spruzzata di Bach 
Tanti brani dall’ultimo lavoro ma senza rinunciare al passato remoto di "Stargazer", passando per i nuovi classici "Storytime", "Nemo" e il piu’ classico di di tutti, la "Ghost Love Score" che lancio’ a suo tempo Tarja Turunen come nuovo punto di confronto delle voci metal femminili e non solo e che Floor ha fatto totalmente sua riuscendo nell’impresa impossibile di migliore cio’ che non sembrava potesse essere migliorato. E’ chiaro che e’ lei la protagonista ma non si puo’ chiamare comprimario Marko Hietala, carisma da vendere, bassista da urlo, uno che a voce sta messo meglio di tanti altri cantanti e vero e proprio omologo maschile di Floor all’interno del line up.
Gli altri membri storici Tuomas Holopainen, mente e tastiera della band e "Erno Vuorinen metronomica chitarra, stanno defilati come al solito ma si sentono e brillano di luce propria. Come sempre appunto.
Troy Donockley e’ passato di recente da polistrumentista esterno a membro della band effettivo mentre  Kai Hahto alla batteria sostituisce (forse) temporaneamente Nevalainen che non fa mancare affatto la sua assenza e sembrano nell’ensemble da sempre.. Difficile dire se si tratti del piu’ grande show della Terra ma trovo difficile pensare ad un insieme di scrittura musicale, abilita’ strumentale e bellezza totale cosi’ concentrati.
Ho qualche anno sulle spalle e qualche concerto in cassaforte ma di esperienze coinvolgenti come queste ne ricordo poche. Bologna e’ stata all’altezza, con un sold-out sfiorato, pubblico sul pezzo e totalmente coinvolto.
Chi s’e’ perso il concerto si e’ perso qualcosa, se ne faccia una ragione. Gioiscano invece tutti gli altri.
We were here!

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Beautiful you – Chuck Palahniuk

Beautiful youPenny e’ la classica ragazza di campagna emancipata. Lasciato il paesello per diventare avvocato, fallisce per due volte l’abilitazione ma intanto lavora in uno dei piu’ importanti studi di New York come portacaffe’ e portasedie.
Non brutta ma insignificante, modesta in cio’ che e’ e in cio’ che fa, proprio nello studio conosce Maxwell, l’uomo piu’ ricco del pianeta e con lui iniziera’ un rapporto tutto sessuale alla ricerca di un piacere mai provato grazie al divenire cavia privilegiata di una lunga serie di giocattoli sessuali che da li’ a breve il riccone buttera’ sul mercato.
Gli effetti di questi giocattoli saranno devastanti con milioni di donne che rinunceranno a carriera, vita privata, famiglia, schiave dei sex toys di Maxwell. E’ a questo punto che Penny andra’ a cercare in Tibet la maestra di Maxwell per combatterlo ad armi pari, prima pero’ di scoprire il grande segreto della sua stessa vita.
Si potrebbero scrivere volumi sull’idea sessista o controsessista di Palahniuk. C’e’ chi dice sia contro le donne, chi a favore e all’opposto si puo’ dire per gli uomini. Romanzo al femminile ma non scritto da una donna, e si vede, percio’ il grottesco si puo’ leggere come ironico e che Palahniuk sia omosessuale non semplifica le cose, anzi.
Lascio queste considerazioni nelle mani di gente piu’ loquace di me, concentrandomi invece sullo stile.
Leggo Palahniuk sin dai suoi esordi e ho letto tutto, a lui devo un paio tra i romanzi che preferisco, percio’ in questi vent’anni ad ogni uscita c’e’ la speranza di farmi trascinare nella sua prosa come ai tempi dei primi quattro libri e il confronto anche severo con quanto si e’ gia’ letto. Che il nostro ci abbia offerto prove alterne senza mai raggiungere i vecchi traguardi e’ fuor di dubbio ma in fondo ogni sua uscita aggiunge tensione e piacere anche per questo.
Tecnicamente in "Beautiful you" Palahniuk e’ irriconoscibile o quasi. Lunghe parentesi, descrizioni minuziose quanto inutili, scene che procedono a rilento per quanto non stancamente, dicono che il minimalismo che ha contraddistinto le sue prime opere e’ ormai svanito, non fosse che spesso, queste lunghe ellissi attorno ad un oggetto o un soggetto, si consumano nella battuta sfolgorante dei bei tempi e allora e’ lecito domandarsi se veramente sia un crollo tecnico o piuttosto l’inizio di un nuovo corso stilistico. Percio’ il giudizio che potrebbe essere negativo, si trasforma in un punto interrogativo da risolversi con le prossime uscite. La storia, tolte le considerazione etiche, e’ a tutti gli effetti scarsa, molto cinematografica nell’incedere delle sezioni stereotipate di intro-problema-preparazione-soluzione, che caratterizza tutto il cinema adolescenziale e di avventura in genere, pero’ ha una base solida, anche originale, ben strutturata per tutta la prima meta’ del libro, disintegrandosi in seguito con soluzioni azzardate nel suo stile, ma fin troppo semplificate, persino errate nel presupposti e nel compimento. In fondo si puo’ anche qui ravvedere una nuova forma di ricerca letteraria, purtroppo pero’ fallita’ nella conclusione.
Una valutazione? Non so darla o meglio come oggetto a se stante il giudizio e’ negativo pur ammettendo che come prima lettura a qualcuno potra’ sembrare persino buono. Come anello di una lunga bibliografia, siamo di fronte ad una serie di fatti nuovi e inediti che accrescono ancora di piu’ la voglia di leggere il prossimo suo libro.
E quello dopo ancora.

Mondo Candido – Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi

Mondo CandidoE’ il 1975, anno in cui il duo Gualtiero Jacopetti / Franco Prosperi esce dalla serie "mondo" e dirige un film vero e proprio. Ma e’ proprio cosi’?
S’intuisce dal titolo che Voltaire c’entri qualcosa e si tratta infatti di una rivisitazione, un adeguamento forse o una riscrittura, una parafrasi, una trasposizione aggiornata nel tempo del suo "Candido".
Parlare di trasposizione e’ sicuramente eccessivo, non lo e’ invece nel senso e nel contenuto, un’analisi spietata del "migliore dei mondi possibili" contro il quale Voltaire prima, Jacopetti poi, si scagliano con violenza e disprezzo.
Con grandi differenze la trama e’ la stessa: Candido e’ un giovane nobile di buon cuore che il destino portera’ lontano dal Barone suo protettore ma soprattutto dalla figlia Cunegonda della quale e’ innamorato.
Arruolato suo malgrado, riuscira’ a scappare scoprendo che la corte del Barone e’ stata decimata ma Cunegonda e’ viva, scatta percio’ la ricerca che lo condurra’ negli Stati Uniti, Irlanda e Israele.
Film a dir poco spiazzante, inaccessibile a chiunque non contestualizzi epoca e situazione.
Jacopetti approccia uno stile postmoderno che enfatizza il messaggio attraverso la commistione di epoche e contenuti, una rivisitazione dei "migliori mondi possibili" che ovviamente da Voltaire a oggi, sono molto diversi tipologicamente ma non topologicamente. Percio’ il nuovo Eldorado altro non puo’ essere che gli USA, i post sessantottini i nuovi barbari e i vetusti hippies una manica di barboni decerebrati, tutti quanti campioni di una societa’ a pezzi senza piu’ riferimenti etici e culturali. In cio’ il "candido" si presta benissimo a raccontare l’attualita’ di allora e di oggi purtroppo.
Visivamente e’ bellissimo perche’ non bisogna mai, mai dimenticare che Jacopetti fu anche un regista straordinario oltreche’ cronista di un’epoca e basta vedere i suoi film, tutti i suoi film, per comprenderlo.
Spiazza il mescolarsi di film in costume con la modernita’, si vive del resto ancora sull’onda lunga della serie "mondo" ma anche del "pecoreccio" iniziato col padre nobile "Brancaleone", passando per i pasoliniani "Medea" e "Il Decameron" e proprio la fotografia di Guarnieri per l’opera di Euripide ad essere un buon paragone di immagine. Penso anche a "Evviva la liberta’" di Klein, vicina nel caustico antimperialismo ma ancora di piu’ lo e’ Ken Russell e sara’ lo Zeitgeist, se ne esce proprio quell’anno con "Liztomania" e come dire, con tanti padri o epigoni nobili, il film non e’ secondo a nessuno. Certo, invecchiato e’ invecchiatissimo ma solo nella sintassi non nel messaggio.
Serve molta pazienza nel guardarlo, contestualizzare nudita’ e ammennicoli che appartenevano molto a quell’epoca e poco alla nostra. E’ complicato fare proprio un linguaggio cosi’ distante e non confonderlo coi tanti film del periodo nati col solo scopo di mostrare tette al vento ma superato il primo impatto, diviene chiarissimo dove Jacopetti e Prosperi volevano andare a parare e s’inizia ad apprezzare lo sforzo.
Film da non sottovalutare, figlio di un’epoca nient’affatto lontana, un messaggio ancora piu’ valido oggi che allora.

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Addio Zio Tom – Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi

Addio Zio TomChe Jacopetti sia stato uno dei piu’ innovativi e importanti registi italiani e non solo italiani, emerge chiaramente da ogni sua opera, dal taglio e dall’impostazione discutibile o meno che sia e del resto i suoi film sono li’ per questo, per discutere e far discutere e anche in questo e’ sempre riuscito benissimo.
Dopo i primi tre Mondo, il mercato era stracarico di infinite varianti del genere, percio’ arriviamo ad "Africa Addio", reportage sullo stato del continente nero alla fine del colonialismo e la tragedia che si stava consumando e ancora si consuma, grazie ai nuovi invasori ideologici, trasformati oggigiorno in mondialisti benpensanti, nonche’ beneficiari da parte di onlus e cooperative.
Ad ogni modo nel 1971, nel centro esatto delle sommosse razziali statunitensi, l’anno dell’orgoglio negro, degli Shaft e delle pantere nere a casa dei ricchi e illuminati democratici americani, Jacopetti se ne esce con "Addio Zio Tom", progenitore di tutte le docufiction successive per quanto e’ da dire, un film cosi’ non l’ha fatto mai nessuno.
L’impronta del regista, anzi dei registi essendoci di mezzo il collega di sempre Franco Prosperi, resta nel contrasto tra situazioni espresse con l’attualita’ di odiatori negri di professione che auspicano e invitano a sterminare, squartare, stuprare i bianchi, a confronto con il passato del secolo precedente quando la schiavitu’ era pratica abituale oltreoceano. Tutto nero su bianco, non fosse che di quei testi non resta piu’ memoria e i protagonisti di allora come Amiri Baraka, padri ignobili dell’altra faccia del razzismo, vengono ricordati come forti guerrieri con nobili ideali. Jacopetti in qualche modo e contrariamente a quanto qualcuno vuole fare credere, riesce persino a giustificare questa marmaglia mettendo in scena l’alba dello schiavismo, tendendo un filo rosso tra presente e passato come una forma di causa-effetto da un lato ma che evidenziando come certa trivialita’ non sia propriamente derivata da trascorsi storici e che la stessa gente, quando si trova dall’altra parte della barricata, sia molto peggio di coloro che combattono. Il film e’ rimasto potente nella memoria oltre che per l’dea, anche per la sua realizzazione. in quella Haiti allora nelle grinfie di Francois "Papa Doc" Duvalier che prese in simpatia i registi e gli concesse ogni agevolazione per girare il film, incluse centinaia di comparse disponibili per tutto.
Documentario, finzione, impossibile dirlo. Gran cinema, un corso accelerato di storia di rado raccontata e cio’ basti.

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Africa Addio – Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi

Africa addioEccoci dunque al film piu’ importante tra quelli scritti e diretti da Jacopetti. Vero forse che "Africa addio" non ha aperto la strada ad un genere come "Mondo cane" ma sotto ogni punto di vista, evolve e nel contempo sposta la mira verso altri bersagli. Se nei capitoli precedenti, l’Africa nel bene e nel male e’ ancora ritratta come terra esotica, un esotismo che nasce dal primitivismo ritrovato tanto di moda oltreoceano, non di meno Jacopetti sviluppava le potenzialita’ giornalistiche oltre l’entertainment.
Vero anche che dell’Africa restavano forti tracce dell’avventura colonialista italiana, la sola avuta negli ultimi 1000 anni e comunque le cronache internazionali, le stesse raccontate sotto un’altra prospettiva dal film, proiettano la pellicola nella cronaca che in quei giorni si stava scrivendo.
Il tema e’ l’Africa post colonialista ma adoperando sintassi da social network 2.0 si potrebbe anche sintetizzare in "quello che i media non vi dicono".
Di quell’anno e’ "La battaglia di Algeri" di Pontecorvo, tanto per dire dove soffiasse il vento, un vento corrosivo che dal continente nero all’ingenuo Occidente, soffiava non certo per il bene degli africani ma per sostituire i vecchi padroni con altri, padroni con mire economiche come gli indiani e con mire politiche come i comunisti sovietici, che poi alla fine e’ la stessa cosa. Questa pero’ e’ storia mentre il punto centrale e’ l’etica dell’operazione jacopettiana.
Cosi’ inizia il film:
"La nuova Africa risorgerà lottizzata sulle tombe di qualche bianco, di milioni di negri e su quegli immensi cimiteri che una volta furono le sue riserve di caccia. L’impresa è così moderna e attuale che non è il caso di discuterla sul piano morale. Questo film vuole soltanto dare un addio alla vecchia Africa che muore e affidare alla storia il documento della sua agonia."
A prescindere da cio’ che si pensa di tutta la questione, serve riconoscere l’importanza di un documento che ha una sua impostazione e un suo pensiero autonomo e cio’ merita rispetto a prescindere dalle proprie opinioni, sempreche’ le proprie opinioni concepiscano pareri discordi, il che non e’ sempre vero.
Per la liberta’ ogni prezzo e’ dovuto? Ma soprattutto, capiamo che la liberta’ implica un popolo che sappia poi gestirla, controllarla, amministrarla? E ancora, il caos anarchico e’ preferibile all’ordine? E’ giusto infine affermare che le democrazie violente siano preferibili a blandi regimi?
Dal 1966, anno di uscita del film, si sono scritte enciclopedie a riguardo. Jacopetti dice: il colonialismo e’ male? Si. Cio’ che lo sta sostituendo e’ meglio? Assolutamente no. Brutta gente quei bianchi colonialisti allampanati e fuori dal mondo? Chi gli preferisce gli infiniti Bokassa, con kili d’oro al collo e morti ammazzati nel freezer, dice di si.
Oggi abbiamo 50 anni di senno del poi sul quale ragionare e un dato certo e’ che non sono bastati affinche’ questa povera terra trovasse un equilibrio. anzi.
Riconosciamo nelle mostruosita’ che ci giungono dall’Africa oggi, le stesse di allora, stessa insanabile violenza che forse un tempo poteva essere scambiata per reazione, oggi e’ tragica constatazione di un orrore morale che travalica il predominio tra i popoli ma rientra nel computo di gente sfalsata cronologicamente  di millenni da noi.
Poi anche questo per piu’ d’uno e’ una cosa bellissima, sempre la stessa feccia che da allora a oggi, e’ riuscita a conquistare i posti di comando e che insiste nel far passare la barbarie come forma alternativa di civilta’ ma del resto c’era chi fomentava odio ideologico dentro a stanzette ammuffite in qualche sede di partito, molto distante da chi come Jacopetti ha rischiato la pelle trovandosi sanguinante e spalle al muro con un mitro puntato, come si vede dalle drammatiche riprese.
Penso al piu’ recente caso del Sudafrica, vuoi per i santi premi Nobel e per la schiera di guitti al suo seguito, vuoi che ce ne hanno raccontate tante ma tutte di un solo colore e infine perche’ si presta bene per rispondere alla domanda: questa liberta’ vale 70 morti ammazzati al giorno, 10 mila all’anno o 64 mila stupri, una donna su 4 e fate voi il conto al giorno? Certamente se sono morti, figlie e mogli degli altri, qualche entusiasta lo si trova.
Tutto qui. Comunque ricordiamo che molti di quei bianchi cacciati e uccisi, era gente che viveva li’ da tre generazioni, un lasso di tempo che qualche diritto dovrebbe pur garantirlo, alla luce poi delle modernissime proposte di rendere cittadini italiani gente che pesta il nostro suolo da un lustro o poco piu’.
Ce n’e’ anche per chi degli uomini non gliene puo’ fregare di meno, perche’ l’eccidio animale e’ l’ultimo dei problemi per chi non ha interesse alcuno della vita altrui e se degli inglesi puoi dire tutto il male possibile ma quando si tratta di bestie, ne hanno piu’ cura che degli delle persone.
Percio’ la loro dipartita e’ coincisa anche con la totale distruzione di oasi faunistiche preservate accuratamente per decenni e se centinaia di cadaveri umani non turbano le vostre coscienze, quelli animali forse si.
Sembra non stia parlando del film ma il film in realta’ e’ questo, domanda e risposta, e’ giornalismo sul grande schermo, soprattutto e’ una voce fuori dal coro che si puo’ rifiutare ma prima e’ da ascoltare.
Sul girato in senso stretto, la bravura e il coraggio del duo e’ innegabile. C’e’ cura, arte, mestiere, il voler dare la forma migliore ad un discorso che merita molta cautela ed autorevolezza. La morte e’ veramente in diretta ma non ci si limita a riproporla, si vuole farlo con un taglio e uno stile che ha fatto epoca, anticipando di decenni cinema e televisione d’informazione.

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L’anima del prete – William Butler Yeats (racconto completo)

Nei tempi antichi in Irlanda c’erano scuole prestigiose dove si insegnava alla gente ogni genere di sapere, e persino i più poveri a quel tempo avevano maggior cultura di molti gentiluomini al giorno d’oggi. Ma quanto ai preti, la loro scienza era superiore a quella di chiunque altro, cosicché la fama dell’Irlanda si diffuse in tutto il mondo e molti re di terre straniere mandavano i loro figli fino in Irlanda perché fossero educati nelle scuole irlandesi.
Ora, a quel tempo, c’era un ragazzino, allievo di una di queste scuole, che suscitava la meraviglia di tutti per la sua bravura. I suoi genitori erano solo dei contadini, e quindi erano poveri; eppure, benché fosse così giovane e così povero, non c’era figlio di re o di signore che potesse stargli alla pari quanto a cultura.
Metteva in imbarazzo persino i maestri; perché quando cercavano di insegnargli qualcosa diceva cose che essi non avevano mai udito prima, mostrando la loro ignoranza. Uno dei suoi punti forti erano le dispute; e andava avanti fino a dimostrarvi che il nero era bianco e poi, quando vi arrendevate, che nessuno poteva batterlo nella discussione, faceva marcia indietro, sosteneva che il bianco era nero, o magari che al mondo non c’era alcun colore. Quando fu cresciuto, i suoi poveri genitori erano così orgogliosi di lui che decisero di farne un prete, cosa in cui riuscirono infine, anche se dovettero ridursi quasi alla fame per trovare il denaro. Ebbene, non c’era in Irlanda un altro uomo colto come lui; ed eccelleva nelle dispute come non mai, tanto che nessuno poteva stargli alla pari. Persino i vescovi cercavano di parlare con lui, ma egli dimostrava loro immediatamente che non sapevano proprio nulla.
Ora, a quei tempi non c’erano insegnanti, ma erano i preti che insegnavano alla gente, e dato che quest’uomo era il più intelligente d’Irlanda, tutti i re stranieri gli mandavano i loro figli, fintanto che aveva posto in casa per ospitarli. Divenne dunque molto orgoglioso, cominciò a dimenticare le sue misere origini e, cosa peggiore, anche a dimenticare Dio, che l’aveva fatto così com’era. Fu preso dall’orgoglio di dissertare, cosicché passando da una cosa all’altra andò avanti per provare che non c’era Purgatorio, e poi che non c’era Inferno, Paradiso, e poi che non c’era Dio; e in ultimo che gli uomini non avevano anima, che non erano niente più dei cani o delle mucche e che quando morivano era la loro fine. «Chi mai ha visto un’anima?», diceva. «Se riuscite a mostrarmene una, ci crederò.» Nessuno sapeva rispondere; e infine tutti giunsero a credere che, non essendoci un altro mondo, ognuno in questo poteva fare quello che gli piaceva; ed era proprio il prete a dare l’esempio, che si prese per moglie una bella giovane.
Ma poiché non si poté trovare prete o vescovo in tutto il paese disposto a sposarli, fu costretto a leggersi da solo la funzione.

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Acquabiografico – Fabrizio Plessi

AcquabiograficoCome scrissi, la mostra "Videoarte a Palazzo dei Diamanti" di Ferrara fu interessante a prescindere dalle opere stesse, lo fu per il proponimento di una tecnologia che oggigiorno e’ talmente abusata da non riuscire a pensare come in un periodo molto vicino a noi, fu innovativo il giocarci per fare arte.
Un viaggio nel tempo breve eppure lontanissimo, la magia della retrotecnologia che non perde lo smalto del suo tempo, anzi guadagna in fascino.
Al bookshop, a Ferrara sempre ben organizzato, ben gestito e con ottimi libri, trovo in concomitanza con la mostra questo volume, nuovo ma ingiallito dal tempo, libro che ha riposato per decenni e certo non sperava di trovare casa. Fabrizio Plessi e’ un artista classe 1940 ancora attivissimo che dell’acqua e con l’acqua ha costruito la propria cifra stilistica, il leitmotiv di un lavoro che dura da una vita e che nei primi anni ’70 tra le altre cose, lo vide impegnato in alcune opere viste in mostra, tra ironia e sperimentazione, anche queste caratteristiche del suo lavoro. Si diceva del libro quindi, una raccolta di scritti, bozzetti soprattutto, tante idee, punti di partenza per video, performance e installazioni, confine indefinibile ed indefinito tra cio’ che puo’ essere realizzato e cosa no.
E’ interessante la sensazione di partecipare ad un brainstorming dell’artista con se stesso.
Vero e’ che per ovvie ragioni il materiale si sviluppa negli anni ma l’uniformita’ tematica e stilistica, compatta il contenuto in un lungo excursus sull’acqua e le sue varianti, tra spugne giganti che salvano Venezia dalle inondazioni e rubinetti che rovesciano coriandoli nel rubinetto. Fotomontaggi e schizzi, descrizioni vergate a penna biro e stampe a sfumature di grigioi, fanno del libro un magnifico esempio del fare arte in quegli anni ed e’ in fondo la ragione per la quale non ho esitato un istante ad acquistare il volume. Percio’ e’ un  tuffo nel lavoro dell’artista ma anche dell’epoca che ha accolto questi lavori.
Non dico sia un libro fondamentale ma per gli amanti del genere e del periodo, consiglio di farci un giro.

Guardiani della Galassia – James Gunn

Guardiani della galassiaEsiste una Marvel cosmica e misteriosa. Oddio, non so se oggi e’ ancora cosi’ ma per chi segue la Casa delle idee sin dagli anni ’70, personaggi come Warlock, Capitan Marvel, Silver Surfer facevano sognare.
Ripenso ancora alle matite di Jim Starlin o al Kirby degli Skrull, degli Eterni, della Zona Negativa e sale un brivido di passione mai assopito.
I Guardiani della Galassia appartengono a quegli anni e a quella magia, una formazione molto molto diversa, storie e personaggi di fatto piu’ ingenui ma a quel tempo lo eravamo tutti e comunque se ancora oggi ce ne ricordiamo, tutto e’ andato come doveva andare.
C’e’ un terrestre, Peter Quill che rapito dagli alieni da bambino, diviene da adulto una canaglia alla ricerca di una misteriosa sfera bramata da gente del calibro di Ronan L’accusatore e ancor dietro Thanos.
D’un tratto il nostro non sara’ piu’ solo, raccogliendo qua e la’ gente parecchio strana come un procione arrogante, un uomo pianta non del tutto sveglio, un bestione che in quanto ad acume c’e’ da discuterne e una tizia verde molto arrabbiata.
Inutile dire che se ne vedranno delle belle, incluse fuga dal carcere, teste di semidei abitate, pianeti da salvare e cose cosi’, il tutto condito da una curiosa selezione di musiche terrestri del ventennio 70-80
Quando venni a conoscenza della trasposizione cinematografica, rimasi non poco sorpreso, voglio dire, con tutti i personaggi Marvel, perche’ proprio loro? Onestamente non so ancora dare una risposta ma ha funzionato percio’ tanto di cappello. Non di meno passare le redini del comando, ovvero una paccata di soldi a James Gunn, uno non alle prime armi nel mondo del cinema ma con un passato di serie tv o poco altro, significa fede, coraggio e intraprendenza. Al film non manca nulla, bella storia, bei protagonisti, bella regia, bella azione, bello tutto e che sia roba Marvel ma potrebbe anche non esserlo evitando percio’ confronti e cronologie, e’ solo d’aiuto.
Promosso in pieno con ottimi voti ma il difetto piu’ evidente e’ su un testo come detto brillante ma che manca dell’arguzia british, alla quale tenta costantemente di accostarsi.
Ecco, pensarlo scritto da un Douglas Adams o anche un suo sedicesimo e il film sarebbe stato perfetto. Sottigliezze? Forse, pero’ quell’umorismo li’ mi e’ mancato moltissimo.
Poi va tutto bene, attendiamo il seguito con molto interesse e divertimento

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Fondazione Magnani Rocca, mostra permanente 14-11-2015

Fondazione Magnani Rocca - BraqueSenza navigatore puo’ non essere facile arrivare in villa Magnani Rocca ma la tecnologia c’e’ percio’ sfruttiamola. Non troppo distante dall’uscita autostradale si giunge in quella che fu la residenza di Luigi Magnani, illuminato imprenditore che affianco’ alla gestione d’impresa lo spirito di collezionista che raccolse non sulla scia del profitto ma con la passione anteposta ad ogni altra logica.
Oggi la fondazione gestisce mostre temporanee come quella di Balla e la collezione permanente che nel contempo e’ una visita sia alla villa che al grande parco che da solo potrebbe valere una gita.
Mi ha fatto piacere vedere un afflusso notevole di persone, al contrario fortunatamente della solita desolazione ma come detto, l’ambiente si presta ad una fruizione che accontenta non soltanto lo spettatore d’arte ma anche l’occasionale che dal giardino al ristorante, puo’ trovare stimoli diversi.
Fondazione Magnani Rocca - BurriRestando alla mostra, capitiamo nel periodo in cui e’ esposta la "Sedia" di Van Gogh, certo una dei quadri piu’ riconoscibili e rappresentativi dell’impressionista olandese. Ben documentato e illustrato, abbiamo a che fare con un pezzo da novanta dell’arte ma non di meno lo sono alcune delle opere permanenti in villa.
Lungo un percorso che inizia i primi secoli dello scorso millennio e che annovera tra gli altri Tiziano, Filippo Lippi e piu’ avanti Durer, Rubens, Goya e molti altri, un ampio spazio e’ dedicato all’impressionismo con Renoir, Cezanne, Monet con una corposa presenza di artisti del ‘900 con nomi come De Chirico, De Pisis, Braque, due Burri eccezionali e una notevole selezione di Morandi che in casa di un collezionista emiliano non possono mancare, soprattutto in virtu’ di un rapporto d’amicizia che lego’ Magnani all’artista bolognese.
La collezione e’ privata, altra struttura non v’e’ oltre la passione dell’uomo che l’ha coltivata.
Gli interni sfarzosi e ben curati si prestano a tanto splendore e raccontano di come si possa impiegare bene le proprie sostanze quando c’e’ volonta’ e intelligenza.
Essere da queste parti ma anche una trasferta apposta e’ consigliata per allungarsi poi a Parma distante una decina di kilometri e terminare quella che certamente puo’ divenire una piacevolissima giornata.

Pagina della Fondazione Magnani Rocca

Giacomo Balla, astrattista futurista (Villa Magnani Rocca, Parma 14-11-2015)

Balla Fondazione Magnani Rocca - SalaBalla e’ indubbiamente uno degli artisti che preferisco. Certo, molto ha a che fare con l’interesse per il futurismo del quale e’ degno rappresentante ma non di meno egli fu un artista completo che seppe esprimersi prima e dopo il movimento marinettiano anche se con alterne fortune ed un riconoscimento postumo incapace di esprimersi nel migliore dei modi.
Quella nella villa Magnai Rocca, non e’ la prima mostra che visito a lui dedicata ma certo e’ una delle piu’ importanti e meglio curate, complice anche la location e lo splendore delle sale.
In mostra sino all’8 Dicembre, il Giacomo Balla che troviamo e’ l’artista che nell’arco di tutta la sua carriera ha vissuto fasi e momenti alterni, ma non per questo tradi’  il proprio spirito e la propria indole e anche nel passaggio formale-informale-formale oppure divisionista-astrattista-ritrattista, troviamo sempre degli elementi ben riconoscibili e un solo filo conduttore che lega i tanti anni di attivita’ e di incostanti fortune. 
Veniamo percio’ introdotti nella prima sala che spiega e racconta il futurismo, manifesti originali e documenti di varia natura, quasi a liquidare l’argomento non perche’ poco importante, semmai lasciare al seguito il Balla che esiste oltre il movimento che contribui’ a rendere celebre e viceversa, scambio reciproco di energia, idee e conosciamo bene che importanza ebbe storicamente questa sinergia.
Balla Fondazione Magnani RoccaSubito dopo pero’ c’e’ il Balla divisionista e nel percorso e’ facile intendere l’evoluzione al successivo FuturBalla che continua a combinare colori e forme ma anche stili e tecniche, una continua sperimentazione che non tradisce un’indole giocosa e sempre tesa all’invenzione.
I ritratti furono pero’ la sua passione, sempre dal vero, no modelli e soltanto soggetti colti nel loro ambiente, col loro stato d’animo.
La famiglia fu protagonista privilegiata e ad essa e’ legato un ampio spazio della mostra, impreziosita anche dalla proiezione tanto istruttiva quanto deliziosa di vecchie interviste datate anni ’60 alla figlia Elica, anch’essa radiosa ed estrosa, autoironica proprio come il padre.
Oltre il suo lavoro, la bella mostra della Fondazione Magnani Rocca riesce nel compito di raccontare l’uomo e allargare l’orizzonte di un artista che troppo spesso si tende relegare al ruolo futurista, fondamentale certo ma non unico. Retrospettiva forse non troppo ampia seppur tutt’altro che piccola ma c’e’ tutto cio’ che serve e il Balla che ci piace, oltre ad un ambiente grandioso, personale gentile e il resto della mostra permanente sulla quale rimando al prossimo post.
Una gita che merita sotto ogni aspetto. E non dimenticate il catalogo.

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