Autobiografia del Blu di Prussia – Ennio Flaiano

Autobiografia del Blu di PrussiaDopo la morte di Flaiano i libri postumi si sono succeduti con una frequenza imbarazzante per chiunque altro ma necessaria nel suo caso. Scrisse tantissimo di romanzi ne diede alle stampe uno soltanto, percio’ tutto il resto e’ composto da racconti, i celebri aforismi, articoli e quant’altro. "Autobiografia del Blu di Prussia" fu il primo libro postumo e come ci racconta Cesare Garboli che l’ha redatto o meglio dire composto, buona parte del materiale era gia’ stata scelta dall’autore per una raccolta. In sostanza alla sua morte, la vedova ha aperto le porte dello studio e li’ ben disposti in diversi raccoglitori, Flaiano stesso aveva iniziato una sorta di resoconto del proprio lavoro, catalogando quanto gia’ pubblicato e il resto in parte ordinato e in parte da inscrivere in un contesto.
Di solito evito i lavori postumi ma nel caso di Flaiano faccio un’eccezione perche’ come detto, la sua scrittura e’ sparsa e frammentata e qui gia’ in parte decisa e organizzata ma c’e’ dell’altro.
Flaiano mori’ nel 1972. Era giovane, aveva soltanto 62 anni ma usciva da un recente infarto e qualcosa scatto’ in lui, un facile presagio o forse la consapevolezza che il tempo a disposizione stesse terminando.
Ecco perche’ la raccolta non puo’ dirsi inventata di sana pianta e nemmeno il patetico mezzuccio di eredi ed editore per raggranellare qualche soldo bensi’ va pensato come un vero e proprio testamento.
Certo, il materiale e’ discontinuo, il redattore spiega con dovizia dei particolari metodi e criteri di quanto ha raccolto e la qualita’ e’ alterna ma sempre di Flaiano stiamo parlando percio’ ogni suo bozzetto resta un grande affresco.
La differenza con gli altri lavori e’ sottotraccia, una specie di vento gelido che striscia sul suolo perche’ in Flaiano c’e’ paura, una paura umana e comprensibile, la paura che cerca di esorcizzare parlando di suicidio, la paura della morte che vide negli occhi della figlia quando la diedero per spacciata e in quella notte lui offri’ la sua vita, un cambio che pago’ cessando di vivere o almeno cambiando il modo in cui aveva vissuto sino a quel momento.
E’ un Flaiano che ricorda, che si denuda innanzi a tutti, come contando sulla morte che gli avrebbe tolto l’imbarazzo di esserci quando certe parole sarebbero state stampate. E’ un Flaiano che fa male e cosi’ l’ho vissuto, con la chiara consapevolezza della sua imminente dipartita e il riso amaro sempre li’, come sempre ma schiacciato dal peso delle ultime parole. Confesso una forte pena per un uomo che ha trascorso gli ultimi anni con la consapevolezza della fine imminente e la tragedia familiare che come un macigno gli stringeva il cuore. Nondimeno la sua lucidita’ gli permise di capire prima di molti l’abisso che oggi tocchiamo con mano e a suo tempo solo agli inizi, percio’ continuiamo a leggerlo con stupore e ammirazione. La mia e’ una prima edizione Rizzoli, ancora piu’ preziosa, qualunque e comunque sia e’ Flaiano, non aggiungo altro.

Edge of tomorrow – Doug Liman

Edge of tomorrowAvete presente Bill Murray intrappolato nel giorno della marmotta?
Ecco immaginate qualcosa di simile, ovvero restare fregati in un loop temporale ma non con grassi roditori e belle figliole ma nel giorno peggiore della tua vita, anzi l’ultimo giorno della tua vita o meglio nel peggior giorno dell’umanita’ quando verra’ sconfitta definitivamente dall’invasione aliena che gia’ domina sull’Europa centrale e a breve sul mondo intero.
Tom Cruise e’ un soldato ma lontano dalle trincee, uomo immagine dell’esercito buttato nella mischia il giorno in cui replicando lo sbarco in Normandia, l’umanita’ dovrebbe sconfiggere i Mimic,, alieni tentacolari capaci di prevedere con straordinaria efficacia tutte le mosse terrestri.
Le cose pero’ si mettono malissimo da subito e l’esercito non si trovera’ di fronte tedeschi esausti come nel 1944 ma agguerritissime piovre meccaniche.
Cruise non restera’ vivo che pochi minuti ma inspiegabilmente alla sua morte tornera’ indietro nel tempo, il giorno prima dello sbarco.
Ancora e ancora e ancora. Assieme a Emily Blunt, guerriera che a suo tempo visse qualcosa di simile, capira’ cosa gli accade e come sfruttarlo per sconfiggere gli alieni.
Film fantastico, che sia chiaro da subito.Tratto "All You Need Is Kill", il manga-racconto Hiroshi Sakurazaka, la pellicola ha beneficiato di un concetto di fondo efficacissimo e ben congeniato. Liman e’ un buon regista, direttore con  grandi performance come "Swingers" e "Mr. & Mrs. Smith" e con tragiche fetecchie alla "The Bourne Identity" e il ridicolo "Jumper". Fortunatamente con "Edge of tomorrow" era nel giusto spirito perche’ e’ vero che la storia e’ fantastica ma con non poche difficolta’ da trasporre sullo schermo. Vero pure che da un punto di vista strettamente logico, inizio e finale hanno senso il giusto e tutto sommato la vicenda si risolve con del tecnoblabla ma s’e’ visto di peggio. Il merito va condiviso con gli interpreti, la sorprendente Emily Blunt, credibilissima guerriera, un soldato che resiste alla guerra e allo sconforto, dolce e durissima, non era facile. Tom Cruise, grande attore che non smettero’ mai di elogiare. Fa comodo parlarne male, la verita’ che pochi al mondo passano da "Top Gun" a Kubrick, gestendo nel frattempo produzioni e management.
A un attore si chiede di essere credibile e di crederci a sua volta e sfido a trovare di meglio in un ruolo si d’azione tutt’altro che facile perche’ c’e’ una trasformazione psicologica del personaggio che non deve sottostare al machismo apparente della situazione. Effetti speciali da colossal ma alla fine non sono quelli che contano, percio’ l’occhio ha la sua parte ma e’ felice anche tutto il resto.
Gran film.

Scheda IMDB

The Kovak box – Controllo mentale – Daniel Monzon

The Kovak box - Controllo mentaleTimothy Hutton e’ un affermato scrittore di fantascienza che si concede con la futura moglie un viaggio di piacere a Maiorca approfittando di una conferenza. Molti altri sono in viaggio con loro, inclusa Lucia Jimenez in fuga da una storia finita che la perseguita. Fatto e’ che la futura moglie e la perseguitata, allo squillo di telefono decidono di suicidarsi, la prima riuscendoci, la seconda no.
Non e’ certo una coincidenza e in qualche modo la canzone "Gloomy Sunday" ha a che fare col gesto inconsulto. Hutton disperato sta per tornarsene a casa ma nuove rivelazioni lo inducono ad indagare, arrivando ad una strana storia di scienziati pazzi e controllo mentale.
Non voglio dire sia il film piu’ imperfetto che abbia mai visto ma di certo si piazza nella top ten. Uso il termine imperfetto per indicare che dall’incipit alla conclusione, non quadra nulla, gli errori si sommano, le motivazioni mancano e la conclusione non conclude. Si ha l’impressione che partendo dalla storia vera di "Gloomy sunday", canzone che leggenda vuole induca al suicidio, si sia costruito attorno un qualcosa che alla fine regge fino ad un certo punto e soprattutto non trova la forza nella struttura di sostenere il peso della storia.
Gia’ l’idea del chip sottopelle con la scusa delle vaccinazioni fa ridere ormai anche il piu’ cretino dei complottisti, se poi e’ tutto cosi’ segreto da lasciare cicatrici grandi come un dito, si capisce come le idee erano finite prima ancora di cominciare.
Monzon gira il film a casa sua ma sfrutta il territorio nel piu’ banale dei modi. La storia non lo aiuta, non lo aiuta neppure la Jimenez, spagnola con la faccia da spagnola, le smorfie da spagnola, perche’ queste spagnole si assomigliano tutte e tutte recitano (?)  allo stesso modo. Dispiace per Hutton, un bravo attore che abbiamo perso troppo presto e che a proposito di scrittori, ne "La meta’ oscura" diede li si una prova d’attore stupefacente, una delle migliori che ricordi. Insomma, un film che non mantiene una frazione di cio’ che promette. Da dimenticare.

Scheda IMDB

Il manichino della storia – Mata, Modena, 23-01-2016

Mata - cavallo PaladinoE alla fine sono andato al Mata. Di cio’ che e’ avvenuto prime, dopo, durante il Mata, i non modenesi nulla sanno e nulla possono sapere. Anche per gran parte dei miei concittadini a onor del vero, la questione resta irrilevante, eppure da dire ce n’e’ e ce ne sarebbe. Non staro’ a tediare con beghe politiche-economiche di una piccola provincia, piccola d’umanita’ e spessore, la faccenda ha risvolti anche complessi, il piu’ delle volte grotteschi per non dire avvilenti.
E’ l’incapacita’ di certe amministrazioni di evitare collusioni, l’impossibilita’ di agevolare gli amici e gli amici e deli amici, e’ il negare pochi spiccioli ad organizzazioni come il Node Festival, esautorare del proprio ruolo professionisti come Marco Pierini e affondare le poche strutture esistenti in una citta’ culturalmente azzerata, ripiegata sul cotechino e sui cuochi stellati che lo destrutturano, come se questo bastasse a portare in ciitta’ frotte di turisti che una volta satolli, si sarebbero dovuti immergere nella Grande Cultura che il territorio offre loro.
Cosi’ e’ stata venduta un’operazione quasi milionaria quando si piangono i soldi per riparare le strade. Le polemiche non sono mancate, le ironie neppure ma tanto a Modena abbiamo i zamponi, i cuochi, Pavarotti e la Ferrari percio’ che ci frega. Cio’ che da fastidio non e’ l’operazione in se’ che in una realta’ in cui la cultura museale e’ morta ammazzata, e’ come pioggia dopo la siccita’, quanto l’indorare di tanti bei propositi cio’ che in fondo e’: l’esposizione di quadri di amici in gran parte comprati da un solo gallerista, raggruppati alla bene meglio per inventare una tematica (il manichino della storia) impossibile. Insomma, il tanfo del clientelismo sovrasta il profumo delle buone intenzioni senza neppure degnarsi di aprire la finestra per dare aria.  
Mata - Mark InnerstPercio’ lasciamo stare i manichini, dimentichiamo le amicizie e la politica, limitiamoci a vedere una galleria di opere anche importanti ma slegate tra loro e sensate nella singolarita’ e non nella collezione. 
Molto appartiene agli ultimi 30 anni ed e’ un bell’aggiornamento per chi come me predilige i musei alle gallerie. I nomi sono in gran parte noti, tra gli italianissimi De Dominicis, Clemente, Paladino (il cocco del gallerista di cui sopra), Chia e Ontani e il resto del mondo del quale posso dire ci mi ha colpito di piu’. Il materico-non materico Peter Halley ad esempio ma anche un favoloso Mark Innerst  realista ed espressionista, l’intenso Robert Longo con piu’ di un’opera ma anche David Salle, Julian Schnabel e molti altri.  Non manca neppure la vera eccellenza del territorio, un bellissimo Vaccari che da solo vale un quinto della mostra. Molte le fotografie d’autore, qualche esempio di cio’ che  Angelo Crespi chiama "sgunz" come le lampadine di Gonzales-Torres e non fatemi parlare di Basquiat che a dir poco non mi piace, oppure dei fratelli Chapman che divertono, rendono denaro ma poco di piu’.
Alla fine che posso dire, mi aspettavo peggio ed e’ certo che anche i detrattori alla fine si sono sbilanciati criticando le singole opere quando e’ l’insieme che non funziona. Tolti i gusti personali, nessuno discute la qualita’ dell’esposizione, per quanto altalenante e non rappresentativa di nulla, Mostra piccola ma che sa far smarrire e impegnare, l’ambiente e’ nuovo e il cavallo di Paladino contestualizzato su un intorno dechirichiano stende un tappeto rosso all’arrivo del visitatore. Fosse stato pagato con fondi privati, un pochino avrei pure applaudito ma cosi’ come si fa. La mostra dura ancora una settimana, poi a detta da chi ci lavora, il vuoto assoluto su cio’ che ci sara’ e non so come mai ma la cosa non mi sorprende.

Pagina ufficiale

Bagatelle per un massacro – Louis-Ferdinand Celine (estratto)

L’Ebreo che stupra o corrompe una donna non ebrea e anche la uccide deve essere assolto secondo giustizia, perché non ha fatto del male che a una giumenta. Il Talmud

« Cos’è che entra duro e esce molle ». Ecco un bell’indovinello… Quelli che sanno rispondono: il biscotto!…
I film sono lo stesso… Cominciano duri e finiscono molli… crème caramel alla merda!… in salsa « sentimento ».
Le folle ne mangiano a quattro palmenti, è la loro felicità, la loro ebbrezza, hanno bisogno della loro merda, la loro buona merda ebrea, merda-radio, merda-sport (tutti gli incontri di boxe, tutte le gare su strada e su pista sono truccati), merda-alcool, merda-crimine, merdapolitica, merdacinema, dentro a più non posso!… Mai troppo! Mai troppe stronzate! Mai troppo costose! La letteratura d’altronde li prepara ad apprezzare bene questa menna deliziosa. La letteratura si mette al livello, bisogna così, dei soggetti più avvilenti, più fritti e rifritti. Solo a questo prezzo vegeta, non sa più come ebraizzarsi maggiormente, piacere di conseguenza, infangarsi ancora un po’ di più, rincarare in sentimentaleria… Tutto in merda!… Più vicina sempre! Più vicina al popolo! più politica! più demagogica! Lo spirito « bancario » insomma… Lo spirito del buffone Tabarin (il 1630 è già giudeo)… Nel prossimo atto la pulce ammaestrata! Signori e signore, il popolo vi manderà a quel paese uno di questi giorni! Allora tutti in prigione!… e Robot, Cristo d’un Dio!… e avanti col surrealismo!… Il trucco dell’arte moderna è ancora più semplice!… ve lo mostrerò per niente… Fotografate un oggetto, uno qualsiasi, sedia, ombrello, telescopio, autobus, e poi scomponetelo in « puzzle »… Sparpagliate i pezzetti, quei ritagli, su un immenso foglio di carta, verde, crema, arancio. Poesia!… Avete capito?… Quando il robot vuole della poesia lo si rimpinza… E siamo solo all’ultimo stadio della decrepitezza naturalista, manierata, cosmeticizzata, napoletanizzata, persuasiva, leccacoso, urla-urla.

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Bagatelle per un massacro – Louis-Ferdinand Celine

Bagattelle per un massacroRicordo ancora la storia che la maestra ci racconto’ sul muro dove qualcuno scrisse la parola "LIBERTA’" e tutti gli sforzi del potere di cancellarlo scrivendoci sopra o incidendo le lettere a martellate, altro non poterono che evidenziare  parola e idea annessa. Ecco, avrei letto "Bagatelle per un massacro" fosse solo perche’ in Italia non c’e’, non e’ distribuito, non e’ contemplato lo si possa leggere. Qualcuno dira’ che non esiste la censura, perche’ ti raccontano che e’ un problema di diritti, che in fondo lo si compra tra gli usati, persino che c’e’ il PDF ma non passiamo per fessi: la censura in Occidente non e’ proibire, e’ non parlare, non pubblicizzare, non diffondere, piu’ semplicemente ignorare. Raccontiamoci della distribuzione, di cause editoriali ma il risultato non cambia: il libro non lo si trova neppure per errore in qualche libreria perduta, figuriamoci se i grandi media ne parlano, percio’ in una nazione dove una persona su due non legge un libro che uno, significa censura. Paranoia?
Forse eppure per coincidenza e’ la stessa paranoia di Celine contro un sistema politico ed economico che dirige e controlla solo certe informazioni e non altre. E’ un sistema che aiuta alcune realta’, qualche personaggio, incentiva una certa economia, dirige i gusti e le scelte delle persone, di popoli interi. Talvolta scatena guerre, piu’ di frequente rivoluzioni e ogni volta troviamo dietro la stessa regia, una regia sionista. Sionista non semita, non confondiamo perche’ c’e’ molto interesse attorno al mescolare le due cose, fa comodo far passare l’antisionismo per antisemitismo. Celine pago’ l’antisionismo col carcere e l’esilio la colpa di non essere dalla parte dei vincitori del secondo conflitto mondiale, cosi’ come pago’ per tutta la vita cio’ che puntualmente descrive in "Bagatelle per un massacro" libro che ricordiamo e ricordiamolo bene, e’ del 1937 e per nessuna ragione al mondo si puo’ far passare per accondiscendente con quanto il regime nazista fece agli ebrei. Nelle pagine lucide e affilate non c’e’ traccia di antisemitismo, non per un momento auspica quanto avverra’ ma la denuncia e’ di tale lucidita’ che ancora oggi spiega il mondo nel quale viviamo, giustifica lo scollamento tra societa’ reale e grandi poteri, delinea alla perfezione l’esistenza di un’Europa che nessuno vuole, che nessuna ho votato, che sta massacrando popoli ed economie eppure ci comanda, spiega perche’ i cristiani possono essere sterminati fisicamente e moralmente, perche’ le sostituzioni etniche, perche’ la famiglia dal dopoguerra in avanti e’ l’istituzione da distruggere.
Ripeto, era il 1937 e qualcuno potrebbe pensare ad uno scrittorucolo rancoroso ma stiamo parlando di Celine, uno dei piu’ importanti scrittori del XX secolo e la sua invettiva non nasce solo da considerazioni personali, anzi per buona parte del testo snocciola numeri e fatti reali e concreti, rapporti nei quali si evince come in Francia ma il discorso si allarga a tutta Europa, Germania inclusa ovviamente, gli ebrei possedessero beni in percentuale molto molto ma molto maggiore rispetto la presenza sul territorio, come i giornali e i sistemi di spettacolo e informazione (Hollywood e quotidiani) fossero/sono in mani sioniste, dimostrando come questa gente era/e’ inserita nel tessuto politico e amministrativo ad esempio quanti pochi ebrei combatterono nella I Guerra Mondiale e quanti pochi abbiano perso la vita, senza parlare di banche e istituti di credito posseduti e gestiti. La politica poi, da Marx a Lenin e Trotskij il sionismo impera e impera  nel mondialismo cresciuto programmaticamente in un secolo sino alla distruzione sistematica e premeditata della cultura d’Occidente. Nemmeno e’ un caso che dopo ogni conflitto il potere degli ebrei aumentasse a dismisura e forse e’ ora di smettere di farsi raccontare che l’antisemitismo nazista fosse etnico e non economico.
Celine documenta, illustra e ripeto ancora e ancora, e’ il 1937, cita fatti e stralci agghiaccianti dal Talmud invitano a riflettere su un piano che mai nessun altro popolo nella storia ha portato avanti, uno schema preciso il cui compimento su allunga non in decenni ma in secoli di storia, tempi cosi’ dilatati da rendere impossibile l’identificazione ad uno sguardo poco attento e nel momento in cui qualcuno denuncia tutto questo, ecco bella e pronta l’accusa di antisemitismo -antisemitismo si badi bene- che prima ancora degli sviluppi della II Seconda Guerra Mondiale, veniva usato come un maglio per colpire gli oppositori.
Terrificante.
Non a caso l’introduzione e’ un articolo che Panorama pubblico’ negli anni 70 sui Rothschild, gente che da due secoli regge le sorti del mondo e su di loro non una riga oltre a bagatelle appunto. Serve aggiungere l’etnia?
Un libro realmente fondamentale per comprendere  storia e attualita’ e sapendo cosa cercare non e’ poi cosi’ difficile. Poi comunque e’ Celine, un Celine gigantesco a prescindere da tutto.
Un atto di liberta’ per chi non si accontenta di farsi raccontare il mondo, compresa la liberta’ di dissentire, prima pero’ serve leggere e magari rispondere ad una semplice domanda: e’ davvero una coincidenza il livore verso gli ebrei che si protrae nei secoli e in tante culture diverse?

"È un comandamento per ogni Ebreo sforzarsi di annientare tutto quanto riguarda la Chiesa cristiana e coloro che la servono. Cristo è il figlio di una Prostituta. Egli è Ben Pendera, cioè il figlio di una bestia lubrica."
Il Talmud

Testo integrale in PDF

Divergent – Neil Burger

DivergentEnnesimo post-qualcosa e da qualche parte l’umanita’ e’ ripartita con le dovute modifiche e misurata riorganizzazione. La societa’ e divisa in cinque caste, estrema formalizzazione di quanto esiste gia’ oggi. Ci sono i guerrieri, gli scienziati, i giuristi, i contadini e il nuovo clero, oltre ai paria, scomoda conseguenza di chi non trova un ruolo.
In giovane eta’ si decide da che parte stare e la scelta e’ per sempre. Il potere e’ stabilito debba essere del clero ma qualcosa sta cambiando e Shailene Woodley la protagonista la cui famiglia appartiene a questa schiera, decide di diventare una guerriera. In realta’ il test che dovrebbe svelare l’indole personale, le rivela d’essere una divergente, soggetti rari che incarnano le virtu’ di tutti i gruppi, percio’ pericolosi per chi comanda, quindi eliminabili appena scoperti.
La ragazza e’ dotata e ben presto sara’ una delle eccellenze delle nuove leve ma la sua missione sara’ molto piu’ alta e importante.
Questo e’ un film che volevo vedere, non tanto per il soggetto quanto per Neil Burger alla regia. Egli e’ uno dei nuovi nomi che preferisco perche’ mi ha a dir poco entusiasmato con "Limitless" e "The illusionist".
Qui e’ ineccepibile ma di suo, del suo estro, della sua velocita’ non c’e’ quasi traccia e non ha colpa.
"Divergent" appartiene a quella schiera ormai fin troppo satura di film che vede baldi giovani a salvare il mondo in qualche scenario apocalittico. In fondo ci sta che gli adolescenti ci si affezionino, del resto in quest’epoca di diritti assoluti, senza piu’ un compito, un ruolo, una fatica, uno sforzo, tutelati sino all’eccesso da un sistema che ha rinunciato all’educazione permettendo l’ascesa di nuove fragilita’ meglio controllabili e gestibili dai venditori di telefonini, soft drinks e scarpe firmate, ebbene per tutti questi vedere un loro coetaneo che si fa il mazzo, decide e magari comanda, e’ un’esperienza nuova e meravigliosa. Il cinema, altro prodotto da vendere all’ingrosso lo sa e ci spinge dietro, magari creando l’ennesima trilogia da spremere per anni. Il film e’ pure buono ma nell’insieme stanno iniziando a stancare, risultando tutti uguali. Percio’ Burger fa quello che puo’ ma il suo compito e’ fare milioni, non arte, quindi alla fine che sia lui o un altro, e’ quasi indifferente.
Aspetteremo l’ennesimo sequel, poi il prequel, poi il reboot ecc. ecc. ecc. ecc.

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Robocop – Jose Padilha

RoboCop 2014“Robocop” e’ stato un film simbolo degli anni ’80, un successo che genero’ due seguiti, il secondo piaciuto solo a me, il terzo orrendo per tutti. Per qualche ragione, alle alte sfere hanno pensato che le nuove generazioni non potevano vivere senza un reboot della serie percio’ l’ennesimo colpo di spugna azzera il passato e reinventa il personaggio per il pubblico del nuovo millennio.
La storia e’ la medesima nell’idea, molto diversa nella sostanza.
L’OCP, multinazionale cattivissima – e quando mai una multinazionale non lo e’? – vende robot da difesa in tutto il mondo ma non negli Stati Uniti e non si capisce se siano gli ultimi scemi rimasti o i primi dei furbi.
Fatto e’ che la gente non si fida dei robot che sparano percio’ l’idea e’ prendere un poliziotto quasi fatto fuori dalla mala e infilare cio’ che ne resta dentro un corpo corrazzato. L’onore spetta all’agente Murphy che poi voglio dire, ad uno con moglie e figlio non e’ che se na faccia di molto se gli resta viva la faccia, una mano, due polmoni e un pezzo di cervello.
Almeno riuscira’ a vendicarsi, a scoperchiare il marcio nella polizia ed ovviamente a far del male alla multinazionale. A questo punto la domanda e’: perche’?
Volevano fare cosa, vendere giocattoli, mostrare al mondo una fede incondizionata in un personaggio gia’ archiviato, la certezza di un nome molto amato o cosa? Perche’ un reboot?
Forse dovremmo domandarci perche’ i reboot esistono ma ancora meglio perche’ usarli quando i protagonisti sono senza tempo e gia’ col terzo capitolo abbiamo visto che chiunque poteva metterci la faccia?
Poi su quale aspetto puntare? “Robocop” era a modo suo un film politico con un approccio ironico che con un sorriso amarissimo metteva in relazione affari, politica, giustizia e societa’. Alle spalle di tutto c’era Frank Miller capace di creare molti livelli di lettura e una complessita’ non necessaria allo  spettatore medio.
Anche il nuovo “Robocop” la butta sulla politica ma la butta anche sull’etica, sul dramma umano ma siamo sicuri che il pubblico volesse le lacrime di un carrarmato vivente? Serviva molto piu’ di questo per riuscirci, percio’ hanno fallito. O si seguiva la stessa linea grottesca o la si buttava sull’azione pura, il resto e’ noia.
Non hanno funzionato le musiche e non so chi le ha volute ma e’ la peggiore colonna sonora degli ultimi decenni. Ma davvero nel 2030 o quando si svolge, gente di 30 anni balla cheeck to cheek con Sinatra? Si puo’ mettere in uno dei momenti d’azione topici il commento sonoro dei Focus? Follia. Sara’ anche la musica preferita del regista, del produttore o dell’amante di entrambi ma esistono regole di buon senso per queste cose.
Bello il cast secondario, Gary Oldman, Michael Keaton e Samuel L. Jackson ma alla fine pare fin troppo, nomi buttati li’ pescati tra gli “ex famosi”, spropositati per una robetta cosi’.
Film sbagliato tutto, dall’averlo pensato al risultato finale. Inventatevi qualcosa di nuovo o che almeno siate sicuri di reinventarlo meglio

Scheda IMDB

The lost future – Mikael Salomon

The lost futureIn un futuro prossimo, i soliti animalari non prenderanno sonno sonno senza resuscitare razze estinte, peccato pero’ che assieme a bestie gia’ morte e sepolte, riprende vita un morbo estinto da millenni che trasforma gli uomini in cavernicoli decerebrati. Trascorrono i secoli e i pochi sopravvissuti sono regrediti all’eta’ della pietra o poco piu’, in perenne lotta con la fame e la difesa del territorio. Il villaggio dei protagonisti un giorno finisce sotto attacco e tre baldi giovanotti partiranno in cerca di aiuto, incontrando sul loro cammino Sean Bean, ex guerriero in disarmo che racconta loro di una polvere creata dal padre di uno dei ragazzi che guarisce dal morbo, rubata pero’ da un ex amico suo, percio’ la missione e’ recuperare la polvere, imparare a farne altra e far risorgere l’umanita’. Ancora un film televisivo, sinonimo di qualita’ da torta di mele per i nipotini, target sconosciuto, operazione in fondo da capire oltre ai surplus di bilancio.
Come accade di frequente in questi casi, c’e’ l’attore celebre ma non troppo o lo sfortunato decaduto, in questo caso Sean Bean e’ un po’ l’uno e l’altro. E’ possibile abbiano pensato a lui per via del suo passato tolkieniano  e per il fatto che i mutati del film assomigliano terribilmente agli orchi de "Il signore degli anelli", pecca prevedibile per i bassissimi budget a disposizione per questa classe di film.
In effetti di originale non c’e’ proprio nulla: la catastrofe, la regressione, le mutazioni, il signorotto cattivo, la nuova speranza. Ancora una volta si pecca con stupidaggini che poco hanno a che fare coi soldi, tipo i ragazzotti con le barbette belle lustre e le giovani donne con un filo di rossetto e ceretta inguinale ma vabbe’, passiamoci sopra.
Di buono e’ che in fondo si fa pure guardare, la trama minima non offre idee ma non e’ neppure troppo scema, ci si annoia quanto basta ma restando nei limiti. In sostanza, e’ da parecchio che non mi sento di stroncare in toto un film di questa fascia. Da tenere in sottofondo cuocendo torte.

Scheda IMDB

Il linguaggio C – ANSI C – Brian W. Kernighan, Dennis M. Ritchie

Il linguaggio C - ANSI CNon si vive di sola letteratura o saggistica e chissa’ che un testo tecnico possa essere un saggio a sua volta.
Il fatto e’ che noi tecnici, informatici o meno, proviamo una sorta di repulsione nei confronti dei manuali o forse dovrei parlare di una botta d’orgoglio un po’ come il rifiuto di chiedere informazioni quando ci si perde per strada o chiedere aiuto nel sollevare pesi. La mia carriera di programmatore software si e’ sviluppata attorno al mondo del lavoro, non in quello universitario, percio’ negli anni ho studiato e scritto programmi con linguaggi orientati al maneggiare tanti dati nel modo piu’ veloce possibile. Il C solitamente ha utilizzi di ben altra natura, nonche’ un ruolo didattico fondamentale anzi unico da quando la programmazione a oggetti ha soppiantato lo strutturato. Oltretutto essendo nativo negli ambienti Unix/Linux, si spiega la diffusione in ambito accademico. Trovandomi a programmare microcontroller alla Arduino per intenderci, il C entra di prepotenza nella mia vita e dopo due anni di rifiuto di manuali, giunge il momento di fare un passo in avanti. Se mi sono dilungato nelle mie beghe personali e’ soltanto per inquadrare un testo che tra tanti, viene dato di riferimento per chi volesse affrontare l’argomento. L’approccio e’ senza alcun dubbio teorico, per iniziati ma non per principianti, attenzione bene. Gli autori lo premettono, si puo’ studiare il testo senza conoscenze specifiche del C ma con esperienza di programmazione, presupposto che confermo essere fondamentale. Libro senza fronzoli ne’ divagazioni, essenziale, formalmente ineccepibile, arriva al cuore degli argomenti senza mezzi termini.
Si inizia con le variabili, si passa alle funzioni, poi coi puntatori e i vettori si entra nel vivo, anzi nella piu’ saliente delle caratteristiche del linguaggio e diciamocelo, la piu’ ostica sulla quale non a caso, il libro scopre il fianco ai maggiori difetti. Se per molti versi si punta alla chiarezza, talvolta l’essenzialita’ eccessiva con esempi di prova astratti, non aiutano nella comprensione dell’argomento e della padronanza della sintassi. Percio’ il libro vince dal lato didattico, sul piano pratico invece aiuta fino ad un certo punto, inclusa la lunga appendice che riassume si ma resta di non immediato utilizzo.
In conclusione il libro ha senso nella didattica, altrimenti esistono guide piu’ mirate.